LXXXIV.
al Sig. C. di C.[1]
Non ci voleva di
meno, che i vostri riveriti comandi, e così precisi per farmi risolvere a
ragionarvi di Lionardo da Vinci. Se non fossero stati questi, non mi sarei mai
risoluto a farlo. Non era egli in fatti più naturale, e più convenevole di
pregarvi a ricorrere a’ libri, che trattano della Pittura? Tutti parlano con
lode di Lionardo, anzi si potrebbe dire, che uno vi troverà allargata la mano
a’ suoi elogj; se è non fosse, che egli meritava di più per li servizi
segnalati, che egli ha renduto alla Pittura. Vi si trova quel, che desiderate
da me più minutamente di quello, che voi possiate aspettarvi da me. Questo bastava
per lasciar cercare a voi, che avreste trovato con più soddisfazione. Ma
inoltre dovrei io pregar voi a istruirmi sopra questo soggetto, di cui bramate,
che io tratti. Voi, che ragionate di Pittura con tanta proprietà, e che
giudicate delle opere con sì fino discernimento: voi che avete Lionardo tanto
in pratica, avendo intagliato con tanto spirito, e con altrettanta precisione
una serie assai numerosa de’ suoi disegni, che bastano per dare un’idea
completa del merito, e del carattere di questo famoso Pittore.
Perchè ha egli il Vasari[2] scritto così bene di
Lionardo? Se non perchè l’aveva conosciuto, e praticato, e l’avea studiato con
riflessione, e ne aveva ben compreso l’artifizio, onde egli era in grado di
penetrarne minutamente le particolarità, che ogni altro fuori di lui avrebbe
potuto difficilmente sviluppare. Egli è certo, che per ben conoscere i maestri
bisogna avere esaminato lungo tempo, e da vicino le loro opere, e non si essere
esercitato se non sopra degli originali incontrastabili, ed anche tra questi
sopra quelli, che sono più perfetti. Senza di questo mi pare impossibile il
decidere giustamente a che grado arrivi la loro abilità, nè mi maraviglio, che
chi è giunto al punto di cognizione, di cui parlo, si vegga le più volte
obbligato ad abbandonare i suoi primi sentimenti, o almeno a raggiustare
l’idee, che egli si era formato d’alcuni maestri. Voi ne avete fatta
l’esperienza sopra Lionardo; voi avete a detta vostra imparato a conoscerlo
meglio studiandolo; e io mi lusingo, che la raccolta delle teste,[3] che voi avete intagliato
poco fa, vi ha molto contribuito.
Questa raccolta porta seco due titoli i più esenziali e i più
vantaggiosi per Lionardo: la perfezione, e l’esser originali, e per questo essa
è diventata una parte di curiosità singolare, perchè i disegni sicuri di
Lionardo sono rarissimi. La Librerìa Ambrosiana in Milano è dove se ne sono
conservati in maggior quantità. Ma per lo più, per quanto mi sovviene, son
figure dimostrative accompagnate da riflessioni, che questo dotto Pittore
metteva in iscritto, secondo che via via gli sovvenivano, quando ritirato nella
villa de’ Melzi[4]
egli cercava in questa occupazione faticosa un nuovo genere di ricreazione, e
un soggetto d’istruzione per l’Accademia, che egli aveva stabilito in Milano.
Se si eccettua questa raccolta,[5] e qualcun’altra simile,
che si crede esser nel gabinetto del Re di Spagna, e in quello del re di
Sardigna, i disegni di Lionardo sparsi ne’ gabinetti de’ dilettanti sono in
molto piccol numero. Si può giudicare da’ pochi, che se ne trovano in Francia.
Appena si sa, che ce ne sia uno istoriato intero.
Di tutti i gabinetti di particolari il più abbondante di disegni
di Lionardo è stato al mio parere quello del Conte di Arundel.[6] Questo illustre dilettante
non avea risparmiato nè cure, nè spese per procacciarsi ciò, che l’arte ha
prodotto di più singolare in ogni genere. Ma soprattutto avea una gran passione
per li disegni, e nè avea fatte le più belle raccolte, che si siano mai viste.
E particolarmente avea concepito una sì grande stima di quelli di Lionardo, che
non contento di quelli, che possedeva, aveva offerto a nome di Carlo primo Re
d’Inghilterra fino a mille doppie di Spagna per uno de’ volumi, che sono
naturalmente[7]
nella librerìa Ambrosiana.
La raccolta de’ disegni di teste, di cui poch’anzi ho parlato, può
essere che fosse di questo illustre dilettante. Io fondo questa mia
conghiettura sull’essere state molte di queste teste intagliate per l’innanzi
da Vincislao Hollar.[8] Voi sapete, che egli stava
al servizio del Conte d’Arundel, e che la ricca galleria di questo Signore gli
ha somministrato la più gran parte de’ soggetti per intagliare, cavati da’
disegni de’ più grandi maestri. Ei pare, che sopra a tutti si sia attaccato a
Lionardo, per farsi, senza fallo, onore con nome sì illustre. In effetto il
numero delle tavole, che egli ha intagliate, tratte da questo Pittore, son
quasi 100. che compongono diverse serie. Queste tavole sono intagliate, come
tutto quel che ha fatto Holler, con una proprietà infinita. Vi potrebbe essere
un poco più di gusto, e che la maniera dell’autore vi spicasse più. Tuttavia
perchè queste stampe vengono da Lionardo, sono anche in oggi desiderate molto
da’ dilettanti.
Se egli è permesso di dar luogo alle conghietture, si potrebbe
ancora affermare, che di questa raccolta di teste parla Paolo Lomazzo.[9] Almeno la descrizione, che
egli fa di una simil raccolta di disegni di Lionardo, che allora era nelle mani
di Aurelio Lovino[10] Pittore Milanese,
corrisponde molto a questa, tanto pel numero de’ disegni, che per la qualità
de’ soggetti. Ella rappresentava, come questa, studj fatti sopra vecchi,
contadini, femmine grinze, e che ridono.
Questa raccolta senza dubbio è passata nelle mani de’ dilettanti,
che ne hanno conosciuto il prezzo. La conservazione de’ disegni, la proprietà,
con la quale sono stati inseriti in fogli più grandi per farne un giusto
volume, il bel disegno d’Agostin Caracci, che le serve di frontespizio, sono
indizj non punto equivoci.
Ma io, Signore, son del vostro parere, che non bisogna cercare il
valore di questa raccolta di disegni nè in queste particolarità, che talora son
viziose, e alle quali pur troppo si è fatto l’uso per conservare la stima alle
rarità più singolari, nè nell’eccellenza di Lionardo nel disegnare. Ella mi
pare unicamente preziosa per quello, che essa contiene. Voi poi avete finito di
rendermela d’un prezzo inestimabile, dopo che mi avete messo in istato di farne
parte a’ miei amici. Questo pensiero adulatore mi fa traspirare qual
sodisfazione averei provato, se avessi potuto comunicarla all’Abate di Maroulle[11] quell’amico, che io
trattava con tanto piacere. Una morte troppo immatura m’ha privato di questa
dolce consolazione, e del frutto, che indubitabilmente ne avrei ricavato.
Perchè chi era in istato di gustar più tutte le finezze di questi disegni, e
più capace di farle considèrare? Egli confessava con la sua natural modestia,
che egli aveva imparato molto nel leggere nel Vasari[12] la descrizione esatta del
ritratto della Gioconda, uno de’ perfetti quadri di Lionardo. Egli, che s’era
compiaciuto di darci una traduzione fedele di questa descrizione, persuaso, che
non c’era cosa più adattata per farci comprendere la maniera, e il vero
carattere del Pittore. Con quali occhi non avrebbe egli riguardato questi
disegni, dove avrebbe compreso il medesimo modo di fare, quelle precisioni,
quelle minuzie, quelle verità di caratteri, quella imitazion perfetta della
Natura, che gli avevan fatto formare un giudizio cotanto favorevole di
Lionardo?
Bisogna confessare, che questo celebre Pittore per questo conto è
molto superiore agli altri tutti, in specie se si considera, che egli è il
primo, che si sia formato una maniera su la Natura, e che sottoponendo la
Pittura ad alcune regole, l’ha cavata da quella languidezza, dove l’aveva
sommersa la barbarie de’ secoli precedenti. Un talento massiccio, vasto,
sublime, una lunga serie di studj gli avevan somministrato i mezzi. Li sforzi,
che fece per acquistare nuove cognizioni, non furono minori delle felici
disposizioni, che egli avea ricevute nel nascere. Non si videro mai tanti
differenti talenti uniti in una sola persona. Pittore, Scultore, Architetto,
geometra, meccanico, poeta, e musico, dava scambievolmente in tutti questi
generi prove illustri della bontà del suo talento, onde divenne l’ammirazione
del suo secolo. Egli solo era quegli, che non contento di se medesimo si
stimava sempre lontano dalla perfezione della Pittura. Le sue continue riflessioni
gliene facevan vedere tutta l’estensione: e persuaso, che non poteva vincere le
difficoltà se non con la fatica, nuovo Protogone[13] gli mancava piuttosto il
tempo, che la voglia di studiare. Giunto al colmo della più alta stima, quando
i suoi quadri si compravano a peso d’oro, e che pareva, che egli dovesse godere
del frutto de’ suoi studj; nell’età più avanzata osservava ancora la medesima
regola di faticare, che nella sua giovanezza. Chi l’avesse visto dipingere,
avrebbe creduto, che ei fosse uno scolare giovane, che non essendo sicuro delle
sue forze s’andasse provando, prima d’arrischiarsi ad alzare il volo più alto.
[14]Quando si metteva a dipingere, sempre
tremava di paura. Spesso dopo aver passato degli anni interi sopra una sola
testa, e avervi consumato tutto il suo sapere, nuove, e più perfette idee
sopravvenendo alle prime, si disgustava di quel che aveva cominciato, e non si
poteva risolvere a terminarla. Per questo non intraprese mai a dipignere a
fresco,[15] dove la pratica domanda
una pronta spedizione: e per questa ragione ancora i suoi quadri sono in sì
piccol numero.
D’altronde ancora Lionardo non era molto curioso di moltiplicare
le sue opere. Comechè egli faceva pochissimo conto di quel che era fatto in
fretta, e che non era se non il frutto d’un primo fuoco, egli amava meglio di
far poco, e applicarvisi, benchè gli costasse molto il renderlo perfetto. Molto
lontano in questo da certi Pittori, de’ quali egli si duole, che contenti de’ loro
primi studj, quando sono stati una volta applauditi, se ne stanno per sempre in
una accidiosa indolenza;[16] perchè, come egli nota
giudiziosamente nel suo Trattato sopra la pittura, un Pittore deve sempre stare
ansioso, e fare de’ nuovi sforzi, nè basta d’essersi fatta la pratica di
disegnare una bella testa, e aver imparato, per così dire, a mente a disporre
graziosamente una sola figura, e a ben gettare l’estremità d’un panno; se egli
si ferma lì, potrà piacere la prima volta, ma il suo credito mal appoggiato non
reggerà gran tempo; e nella gloria, che egli aveva cominciato ad acquistarsi,
caderà nel disprezzo. E questo è, perchè la Pittura non ha altro oggetto, che
imitare la Natura, e la Natura è immensa nelle sue varietà.
Questa aggradevole diversità di forme, che è il principale
ornamento della Natura, aveva fatto concepire a Lionardo, che in questo
consistette l’essenziale dell’arte. Ogni opera, che peccava per troppa
uniformità, non la poteva soffrire.[17] Un autore Italiano[18] ha preteso, che egli
avesse steso la sua critica fin sopra il famoso Giudizio di Michelagnolo, ma
benchè questa accusa potesse esser fondata, ella cade da se medesima, poichè
egli è certo, che Michelagnolo non intraprese l’opera del Giudizio se non molt’anni
dopo la morte di Lionardo.[19]
Da questo primo principio Lionardo ne cavava un secondo, che ogni
studio, che non era fatto sulla Natura medesima, poteva essere senza frutto, e
anche dannoso, e così non voleva, che un Pittore imitasse servilmente la maniera
d’un altro;[20]
e benchè ei fosse pienamente persuaso, che gli antichi Scultori avessero
rappresentata la Natura in tutta la sua bellezza, e che egli stimasse lo studio
delle loro opere utilissimo, e anche necessario, tuttavia gli pareva anche più
sicuro di consultar la Natura più da vicino, vo’ dire di studiarla sopra di lei
medesima.
A questa scuola egli mandava tutti i Pittori gelosi del loro
credito, ed egli medesimo era senza interruzione occupato a prendervi lezione.
Quì è dove egli apprese quella cognizione tanto perfetta delle azioni delle
membra del corpo umano, di cui ha dimostrato ne’ suoi scritti così dottamente i
principi, e le cagioni:[21] dove ha imparato
l’ordine, e la situazione de’ muscoli, e loro funzioni, e le differenti forme,
che eglino prendono secondo le diverse situazioni del corpo, e di ciascun
membro in particolare: dove egli divenne in una parola perfetto nella scienza
della notomìa.[22]
La Natura fu quella, che egli svelò le ragioni occulte dell’ombre, e de’ lumi.
Ella ancora gl’insegnò l’arte di caratterizzare le passioni, che si manifestano
ne’ movimenti diversi, che le molle dell’anima fanno operare al di fuori.
Leonardo ordinariamente sceglieva soggetti, dove lo spirito aveva
più parte; ma qualunque soggetto egli avesse intrapreso, cominciava da empirsi
l’idea de’ caratteri appropriati alle figure, che vi dovevano necessariamente
intervenire; e cavandole dalla sostanza, e dalla natura del soggetto, secondo
l’età, e la qualità delle persone, secondo le passioni, da cui dovevano essere
agitate, osservava attentamente tutto ciò, che passava sotto i suoi occhj, che
potesse aver somiglianza, e rapporto a quello, e lo notava con diligenza.[23] Se la fecondità, e la
penetrazione del suo talento gli somministrava qualche idea singolare, egli se
ne serviva volentieri, ma sempre dopo averla confrontata con la Natura sua
unica guida. Giraldi Cintio[24] nel suo Trattato de’ Romanzi,
e delle commedie non ha difficoltà di proporlo in ciò per modello a’ poeti
migliori.
Questo esempio confermerà[25] ciò, che io ho detto.
Avendo determinato di dipingere una radunata di contadini, le cui risa
semplici; e naturali risvegliassero i medesimi moti negli spettatori, unì
alcuni di essi, che invitò a un desinare; e quando la tavola cominciò a
mettergli allegria, egli gli divertì con racconti piacevoli, e redicoli, che
ravvivarono la loro allegrezza, e gli mossero a ridere. Leonardo prendendo
l’occasione, studiava i loro gesti, esaminava la costituzione de’ loro visi.
Spicciatosene si ritirò nel suo studio, e disegnò così perfettamente a memoria
questa piacevole scena, che era del tutto impossibile, dice Paolo Lomazzo, di
rattener le risa nel vedere il suo disegno, quanto era difficile a’ suoi
convitati di rattenerle a’ racconti, che egli faceva loro. Questo autore
aggiunge, che Leonardo seguitava fino al luogo del supplizio i condannati a
morte, per leggere sul loro viso i moti, che il terrore, e la paura d’una morte
vicina vi debbono eccitare.
Le fisonomie più singolari essendo quelle, che più contribuiscono
a caratterizzare le passioni, Lionardo era attentissimo a farne una diligente
ricerca. Quando ne scopriva qualcuna di suo gusto, e che egli vedeva qualche
testa bizzarra, egli la metteva da parte con avidità; e avrebbe seguitato tutto
un giorno uno di questi tali, piuttosto che perdere quella fisonomia; e
imitandola non tralasciava la più piccola minuzia delle parti anco minime. Egli
ne faceva de’ ritratti, a’ quali dava un’aria di rassomiglianza, che percuoteva
la fantasia di chi li vedeva. Alle volte gli caricava nelle parti, in cui il
redicolo era più sensibile, più per imprimersegli nella memoria con de’ caratteri
inalterabili, che per giuoco. I Caraccj, e dopo loro molti altri Pittori si
sono esercitati a far delle caricature più per ischerzo, che per istudio.
Lionardo, che avea mire più nobili, il faceva per istudiare le passioni. Ora
egli è certo, che ci sono alcune fisonomie, che indicano alcuni vizj. Un uomo
collerico, sprezzante, stupido ha sempre il suo carattere dipinto sul viso.
Lionardo per mezzo di questo studio era divenuto gran fisonomista. Si dice, che
egli abbia lasciato un ampio trattato su questa materia.[26]
L’occasione la più notabile, in cui egli fece uso di questa
pratica di disegnare delle fisonomie, fu quando dipinse la famosa Cena del Signore,
di cui la fama tuttora si mantiene nel suo vigore, benchè ella non sussista più
da molti anni.[27]
noi ne abbiamo cognizione per via delle copie fatte da’ suoi allievi,[28] e di lui forse non riman
altro, che il disegno originale, che si conserva presso il Re di Francia.
L’istoria di quello, che è accaduto intorno a questo, voi lo sapete; ma perchè
serve per dar l’ultima mano al ritratto di Lionardo, e torna molto a proposito
al mio argumento; voi mi permetterete, che io ve la rammenti. Io copierò il Vasari,[29] e il suo testimonio
confermato dal Lomazzo[30] Pittor Milanese, e dal
Giraldi Cintio[31]
uomo di lettere, il cui padre avea conosciuto Lionardo, non si può mettere in
dubbio.
Lionardo tanto buon musico, quanto eccellente Pittore, s’era
portato da Firenze a Milano, dove Lodovico Sforza,[32] ch’era innamorato della
musica, l’aveva chiamato. Questo Principe non tardò molto a conoscerlo. Un
uomo, che avea tanti talenti, quanti ne avea Lionardo, non poteva far di meno
di non si guadagnare la stima, e l’amicizia ancora di quegli, che avevano
qualche gusto delle belle arti. Lodovico avea un gran piacere a sentirlo sonar
la lira, che egli toccava bene a maraviglia;[33] ma non volendo anche
perdere l’occasione d’arricchire la sua capitale di qualche gran quadro degno
del Pittore, che egli vi voleva adoperare; gl’impose di dipingere nel
refettorio de’ Domenicani di Milano Gesù Cristo, che celebra l’ultima cena.[34] Leonardo non aveva mai
intrapreso un’opera così considerabile, nè avuto un soggetto, che tanto gli si
adattasse. Si trattava di render sensibili le varie passioni, che in quel punto
critico dovevano agitare gli Apostoli, ed egli lo fece d’una maniera così
espressiva, che quest’opera fu riguardata come un miracolo dell’arte. In
generale la disposizione del quadro è molto semplice. Gesù C. è rappresentato a
sedere nel mezzo, e nel primo posto. La positura è tranquilla, e piena di
maestà, e domina in tutto il suo contegno una nobile sicurtà, che imprime
rispetto. Gli Apostoli al contrario sono in una estrema agitazione, e le loro
attitudini sono tutte contrapposte, e le loro fisonomie varie. L’inquietudine,
l’amore, la paura, il desiderio di penetrare il senso delle parole del
Salvatore si distinguono su’ loro volti, e ne’ loro gesti. L’idee magnifiche di
Lionardo erano fortunatamente secondate da’ suoi modelli.
Ma quando volle esprimere il carattere della Divinità impresso
sulla faccia di G. C. la sua mano non potè mai rappresentare il suo pensiero, e
tutto quello, che ella produceva non era capace di contentare la sublimità, e
la delicatezza del suo gusto. Disperando di poterne riuscire, come desiderava,
egli manifestò la sua angustia a Bernardo Zenale[35] suo amico, il quale non
s’immaginando, che si potesse far cosa alcuna più maestosa delle due teste de’ due
SS. Giacomi, lo consigliò di lasciar la testa di Gesù Cristo abbozzata, come
ell’era. Lionardo si arrendè al suo consiglio, imitando in un certo modo
Timante concorrente di Zeusi, che avendo impiegati tutti i caratteri di dolore
ne’ volti di quelli, che assistevano al sacrifizio d’Ifigenia da lui dipinto in
un quadro; non credette di poter esprimer meglio quello del padre sfortunato,
che vedeva immolare la sua figliuola, che col coprirgli la faccia col proprio
manto.[36]
Lionardo, uscito di questo primo imbarazzo, incontrò nuove
difficultà nell’esprimere il carattere di Giuda. Prima di cominciarlo ricorse
alle sue riflessioni, le quali lo portarono molto in lungo. Il priore de
Domenicani, impaziente di vedere che l’opera non finiva mai, e stanco di
sollecitar Lionardo, se ne lamentò col Duca. Egli s’immaginava, che un Pittore
non potesse lavorare, se non colle mani; e vedeva, che Lionardo passava gran
tempo a meditare. Il Duca per soddisfare il priore, volle domandare da se
medesimo nuove del suo quadro, e avendo inteso, che sicuramente non passava
giorno, che egli non v’impiegasse almeno due ore, non lo affrettò di vantaggio.
Tuttavia la Pittura restava sempre nel medesimo stato; onde il priore
ricominciò i suoi lamenti, e con maggior frutto. Perchè Lodovico persuaso, che
Lionardo gli avesse dato ad intendere una cosa per un’altra, non potè
trattenersi dal dimostrargliene del risentimento; ma lo fece con tanto buona
maniera, che questi tocco dalla benignità del Principe, e conoscendo, che era
dotato di buon discernimento, gli spiegò quello, che aveva sdegnato di spiegare
al priore, e gli fece agevolmente comprendere, che un genio sublime non è
disoccupato quando pare disoccupato; e che tutto dipende del concepire idee
giuste, e perfette.
Resta, Signore, da due teste (gli disse), che l’opera non sia
finita. Da quella del Cristo; ed è lungo tempo, che io son disperato di trovar
quì in terra un modello proprio a rappresentar l’unione della divinità con la
forma umana, e molto meno di potervi supplire con la mia immaginazione. Non mi
resta dunque se non l’esprimer bene il carattere di Giuda, di questo traditore
indurito dopo tanti benefizj ricevuti. Egli è più d’un anno, che io cerco
inutilmente un modello ne’ luoghi, dove abita il popolaccio più vile, e farò
de’ nuovi tentativi. In ogni caso poi farò capitale del ritratto del P. Priore,
che lo merita per la sua importunità, e per la sua poca discrizione. Il Duca
non potè ritenere le risa di questa facezia, e vedendo con qual giudizio, e con
qual fatica cercava d’esprimere convenevolmente ciascun carattere, ne concepì
maggiore stima. Del resto voi vi potete immaginare, Signore, che Lionardo era
troppo uomo da bene, e avea troppa cognizione, e pratica del Mondo per servirsi
in questa occasione della testa del P. Priore, come qualcuno l’ha asserito[37] male a proposito. Egli
solamente gli fece questa paura; e avendo finalmente scoperta una fisonomia
tale, quale egli desiderava, vi aggiunse qualche tratto di quelle, che egli
aveva di già raccolto, e in breve tempo finì questa testa, e in essa superò sè
medesimo.
Gli studj che faceva Lionardo erano, come voi vedete, un tesoro,
dove egli trovava al bisogno tutto quello, che gli era necessario. Egli ne
conosceva l’utilità, onde portava sempre a cintola un libretto, nel quale
disegnava subito quel che gli faceva più impressione, e consigliava gli altri Pittori
a fare il somigliante.[38] Avrebbe desiderato, che
eglino avessero fatte delle raccolte di nasi, di bocche e d’orecchi, e d’altre
parti simili, di differenti forme, e di diverse proporzioni, tali quali
s’incontrano nel naturale. Quest’era, secondo lui, la miglior maniera di far i
ritratti che somigliassero.
Egli è facile di credere, che la raccolta de’ disegni di teste,
che ha dato occasione alla lettera, che io ho l’onore di scrivervi, fosse uno
di questi libri, in cui Lionardo notava le fisonomie più singolari.[39] Le 38. prime teste son
disegnate d’una maniera, e d’una grandezza medesima. Eccettuatene due, esse son
disegnate tutte l’una verso l’altra. Queste due apparentemente erano poste una
in principio, e l’altra in fine del libro. Ogni testa è rinchiusa in un orlo di
linee tondo, come sono state da voi intagliate. Benchè siano caricate, vi si
riconosce senza dubbio, che son ricavate dal naturale. Io non cerco altra prova,
che la loro varietà. Non vi stupite, o Signore, in vedere con quale spirito vi
sono espressi i caratteri delle passioni? Non direste voi, che queste teste
tono animate? Quanto è maravigliosa l’esecuzione! La penna, di cui si servì
Lionardo in questi disegni, è espressiva all’ultimo segno, e d’una leggerezza
somma. Senza seccaggine, e senza ammanierare, ella esprime un’immensità di
minuzie, con de’ tocchi magistrali messi a’ suoi veri luoghi, e con de’ tratti
pieghevoli tirati con tutto il sentimento; e la cavità, che il rilievo, o
l’avvallamento degli ossi cagiona sulla pelle, le pieghe della carne, e fino
alla minima grinza. Qualche colpo leggiero di acquerello dato a proposito su
qualcuno di questi disegni, finisce di mettervi l’ultima perfezione, e tutta l’intelligenza.
Mi par di vedervi soprattutto un profondo sapere nella maniera, con cui son
maneggiati gli orecchj, e gli occhj. In questi disegni non vi è cosa alcuna,
che sia trascurata. I capelli pajono veramente attaccati alla carne, donde
prendono il loro nascimento; e fino le mode sono imitate scrupolosamente. Le
otto teste, che seguono queste 38. prime, son sul medesimo fare, e non son meno
stimabili. I sei mascheroni, che vendono appresso son prodotti
dall’imaginazione, onde non bisogna aspettarsi di trovarvi la stessa
precisione. Il tocco della penna è bello, e facile, ma è più libero. Io passo
sotto silenzio la testa della femmina in profilo. Ell’è d’una maniera più secca,
e dura. Mi sovviene d’aver visto qualche disegno di questo medesimo stile, che
veniva attribuito a Lionardo, e io non ho veruna difficoltà a crederlo. Io
m’immagino, ch’egli l’abbia fatta nel tempo della sua prima maniera. L’altra
testa di vecchia, che ha molto del carattere di s. Elisabetta, piena di gioja
di ricever la vista della SS. Vergine, è al contrario d’un gusto maraviglioso.
Ell’è disegnata in matita nella maniera, che si appella sfumata, ed è sopra una
carta tinta di filiggine.[40] Questa è quella sola, che
voi non avete intagliata. Quegli che l’ha incisa, l’ha fatto con
quell’eccellente gusto, che si ravvisa in tutto quello, che esce dalle sue
mani. Ecco in che consiste la raccolta delle teste, che è ora venuta nel
gabinetto di mio padre.
Perchè non resti addietro niente, che possa far conoscere Lionardo
in questa parte della sua arte, voi avete fatto bene a impegnare il Signor
Crozat a lasciarvi intagliare quattro teste caricate, che ei conserva con molta
gelosia. Son propriamente schizzi, ma schizzi disegnati di penna con molta
risolutezza, e sapere. Elle vengono originariamente dalla raccolta de’ disegni
fatti da Giorgio[41]
Vasari. Voi avete pescato anche nella raccolta[42] del Re, e nè avete cavato
quella bella testa di Vecchio vista di faccia, il cui carattere è così fiero. Ell’è
disegnata in quella maniera, ch’era cotanto famigliare a Lionardo, voglio dire
con la matita rossa, che egli maneggiava come la penna, e col medesimo spirito.
In questa guisa egli disegnò il suo corso di notomia.[43] Lionardo si provò anche a
dipignere di pastelli, di cui la maniera era nuova,[44] e se ne servì utilmente
per li suoi studj del quadro della Cena di Gesù Cristo.
Facendovi la storia degli studj di Lionardo, io ho tanto poco
abbadato a raccogliere i fatti della sua vita, che io non me ne sono avvisto se
non alla fine, che io ho tralasciato fin le circostanze più necessarie. Io lo
farò quì più succintamente, che mi sarà possibile. Lionardo nacque verso l’anno
1443. nel castello di Vinci, posto nel Valdarno di sotto presso a molte miglia
di Firenze. Il suo maestro nella Pittura, e nel disegno lu Andrea del
Verrocchio.[45]
Fece i primi suoi studj in Firenze. Dopo la caduta degli Sforzeschi, e d’essere
stato sei anni in circa in Milano, dove gettò i fondamenti d’un illustre Accademia,
tornò a Firenze nel 1500. Il Senato Fiorentino avendolo scelto con Michelagnolo
per dipingere il salone del Consiglio, una nobile emulazione fece produrre
all’uno, e all’altro que’ due famosi cartoni,[46] che furono l’ammirazione
di tutta l’Italia; e che fino che sussisterono, servirono di studio a chiunque
attese alla pittura.[47] Da Firenze Lionardo venne
a Roma, donde la gelosia, che nacque tra lui, e Michelagnolo, l’obbligò a
partirsi per passare in Francia, ove egli era stato chiamato da Francesco i, e qui morì di 65 anni . Avrei potuto
notar molte altre particolarità; ma si trovan per tutto, e io credo, che questa
maniera di trattar l’istoria della sua maniera di pensare, e d’operare, sia più
nuova, e voi ci avrete più piacere. Io aggiungerò alle lodi di Lionardo, che
Michelagnolo, e Raffaelle gli sono obbligati d’una parte della lor gloria,
poichè hanno cominciato a diventar grand’uomini sulle sue opere. Raffaello ha
preso da lui quella grazia quasi divina, che guadagna i cuori, e che Lionardo
spargeva cotanto graziosamente sopra i volti. Michelagnolo si appropriò quella
sua maniera terribile di disegnare. Se poi l’uno, e l’altro l’hanno passato d’assai,
egli è anche sempre vero, che egli hanno infinitamente profittato da’ suoi
prodigiosi studj. Che grande elogio è questo di Lionardo! Nè il vantaggio d’esser
vissuto accarezzato, e stimato da tutti i personaggi di distinzione del suo
secolo, nè l’onore d’essere spirato[48] nelle braccia d’un gran
re, non sono aggiungibili.
Ecco, o Signore, tutto quello, che io aveva disegnato di scrivervi
di Lionardo.
Ma questo non è altro, che uno sbozzo, che vi presento, ma così
imperfetto come egli è, sarò riuscito secondo il mio desiderio, se egli avrà la
sorte di piacervi, e se egli potrà risvegliare in uno de’ nostri amici comuni
il disegno, che egli aveva concepito di scrivere sopra i principali maestri dell’arte
quasi con questo medesimo metodo. Siccome egli ama le cose belle, che egli
riguarda senza prevenzione, e che a un molto buon gusto naturale aggiunge delle
cognizioni acquistate dall’esperienza, non ci sarebbe cosa più gradita, nè più
istruttiva, dell’eccellenti lezioni, che egli ci presenterebbe cavate
dall’opere di ciascun maestro. Voi, che avete con lui tutta la mano, lo
dovreste impegnare a proseguire questa fatica. Per la parte mia mi stimo troppo
fortunato d’aver potuto in questa occasione darvi delle riprove del mio
profondo rispetto, col quale io ho l’onore d’essere &c.
Catalogo delle stampe ricavate da’ disegni,
o da’ quadri di Lionardo da Vinci.
La cena ultima di Gesù Cristo. Quattro sono le stampe di questo
quadro, che è dipinto nel Refettorio de’ Domenicani a Milano, delle quali
abbiamo notizia. La più antica è intagliata a bulino da un antico artefice
anonimo. Ell’è mal disegnata, e peggio incisa; ma in essa vi si scorge più la
maniera di Lionardo. Vi si legge sul davanti della tovaglia questa iscrizione,
che denota quel che si rappresenta nel quadro: Amen dico vobis, quia unus vestrum me traditurus est. Lionardo ha
avuta disgrazia, perchè ha dato sempre in intagliatori mediocri. Questa sua
prima stampa è alta circa a 9. dita, e larga 17.
La seconda è intagliata leggieri ad acquaforte pur da un anonimo,
ed è quasi della stessa grandezza della precedente.
La terza è intagliata all’acquaforte sotto la direzione di Pietro
Soutman discepolo del Rubens, e non ha altro pregio, se non che v’è un chiaroscuro
ben inteso, perchè quanto al disegno, non è nè pur sopportabile. Di più Soutman
non ha fatto intagliare se non la parte di sopra del quadro, talchè l’altra
parte, in cui sono i piedi delle figure, mancando, tutta la composizione perde
la grazia. È necessario il dirlo, perchè altri non giudicasse d’una così
eccellente opera da una copia cotanto infedele. Ella è alta dieci dita, e 9.
linee, larga 36. dita e 6. linee.
Finalmente il Sig. Conte di Caylus ha intagliato poco fa ad
acquaforte il disegno di questo quadro, che è presso il re, contentandosi di
darcene solamente il contorno, benchè l’originale sia ombrato con la fuliggine.
Questa sua stampa è alta 8. dita, e larga 12.
Un combattimento di quattro cavalieri, che contrastano una
bandiera. Questa stampa, che è alta 17. dita, e 22. e 6. linee di larghezza, è
una delle prime opere di Gherardo Edelinck. Egli l’ha intagliò a Anversa avanti
di venire a fissarsi in Francia, onde non bisogna aspettarsela bella come
l’altre sue opere fatte dipoi. Vi si legge da piedi: L. d’ la finse pin; che così si pronunzia in Fiammingo il nome di
Lionardo. Il cattivo gusto, che regna nel disegno di questa stampa, farebbe
credere, che ella fosse intagliata sul disegno di qualche Fiammingo; e pur
questo disegno può essere, che fosse cavato dal quadro stesso, del quale parla
R. Trichet du Fresne, che a suo tempo era del Sig. la Maire eccellente Pittore
di prospettive. Questo è un frammento della storia, che Lionardo doveva
dipingere nel salone del Consiglio di Firenze.
La SS.ma Vergine a sedere sulle ginocchia di s. Anna, che si china
per prendere Gesù bambino, che accarezza un uccelletto. Questa stampa è
intagliata in legno da un anonimo a chiaroscuro, ma male. Ella è alta 19. dita,
e larga 13. e 9. linee. Il quadro è nel gabinetto del re, e uno simile è nella
sagrestia di s. Celso di Milano.
La SS.ma Vergine mezza figura, che ha sulle ginocchia Gesù bambino,
che ha in mano un giglio, intagliata all’acquaforte da Giuseppe Juster, cavata
da un quadro, ch’era appresso a Carlo Patino, e che questo dilettante
pretendeva, che fosse stato dipinto per Francesco i. La stampa è alta 11. dita e larga 8.
Il Salvatore del Mondo, che tiene con una mano un globo, e con
l’altra dà la benedizione, mezza figura intagliata all’acquaforte da Vincislao Hollar
nel 1650. Questa è una delle sue piccole stampe, e che è troppo pesante per la
gran fatica, che vi si scorge. Ell’è alta 9. dita, e 6. linee, e larga 6. e 6.
linee.
S. Gio: Battista, mezza figura intagliata a bulino da Gio:
Bulanger d’una maniera finitissima pel Signor Jabac, che ne aveva il quadro
originale, che ora è nel gabinetto del re. La stampa è alta 11. dita, e 6.
linee, e larga 8.
Erodiade, che ha in un bacile la testa di s. Gio: Battista; mezza
figura intagliata a acquaforte da Gio: Troyen sotto l’indirizzo di David
Teniers, ricavato da un quadro del gabinetto dell’arciduca Leopoldo, e che ora
è in quello dell’Imperadore. Questa stampa è alta 8. dita, e 6. larga.
Un’altra stampa alta 8. dita, e larga 5. e 9. linee intagliata
all’acquaforte da Alessio Loyr ricavata da un quadro col soggetto medesimo,
parimente in mezza figura, ma disposto diversamente.
Un uomo a sedere, che riunisce i raggi del Sole in uno specchio
ardente per ammazzare un drago, che combatte con un lione, e altri animali. Non
si sa quel, che il Pittore abbia voluto significare, e può essere un emblema.
La stampa è alta 8. dita, e 6. linee, e larga 12. dita. Fu intagliata a bulino
molto male da un anonimo. Ella ha così poco della maniera di Lionardo, che
appena si crederebbe, che egli ne fosse l’inventore, se non si fosse trovato il
disegno fra quelli del re. Questo disegno è alto 3. dita, e 6. linee, è larga 4.
dita, ed è stato intagliato nella medesima proporzione dal conte di Caylus, ed
è un primo pensiero; ed è differente dalla stampa antecedente in ciò, che in
questa la figura dell’uomo è nuda, e nel disegno è vestita.
Quel che Hollar ha intagliato ad acquaforte de’ disegni di
Lionardo, è stimato, e in effetto è il meglio, che noi abbiamo di stampe cavate
da questo Pittore. Sarebbe da desiderare, che Holler avesse imitato con più
esattezza gli originali, che egli avea davanti agli occhj, e sarebbe stato
meglio, che egli avesse copiato linea per linea, e col medesimo tocco, e non vi
avesse aggiunta tutta quella fatica di mettervi della sua maniera senza gusto.
Uno si avvedrà facilmente della licenza, che ei si è preso, se confronterà
qualche testa con quella intagliata dal Conte di Caylus. Tutte queste piccole
stampe d’Hollar non passano le tre dita d’altezza, e di larghezza sono tra le
due, e le cinque. Elle son distribuite in cinque serie, in principio delle
quali sono i frontespizi; ma sarebbe impossibile di farne la descrizione;
poichè, eccettuatene cinque, di cui due rappresentano teste di morto, e tre
altre torsi, e tronchi di figure; il resto consiste in un gran numero di teste,
e di caricature, che non hanno nulla di particolare, per le quali uno le possa
descrivere. Ci contenteremo di dire, che ve ne sono quasi cento, che sono state
intagliate a Anversa nell’anno 1645 e ne’ seguenti.
Hollar ha eziandio intagliato un disegno di Lionardo cavato dal
gabinetto del conte di Arundel, che rappresenta alcune teste, che ridono, nel
mezzo delle quali è un’altra testa in profilo coronata di foglie di quercia.
Questa stampa è alta 9. dita e larga 7.; ella è intagliata nel 1646.
Nel medesimo anno 1646 intagliò un disegno, che rappresenta un giovane,
che abbraccia una vecchia accarezzata per le sue ricchezze; la quale stampa è
alta 5. dita, e 9. linee, e larga 4. 10. larga.
Una raccolta di teste caricate, e di carattere, consistente in 59.
tavole intagliate ad acquaforte nel 1730. dal conte di Caylus cavate da’ disegni
di Lionardo. Di questa raccolta si è parlato in questa lettera.
Una testa di giovane vista di profilo, intagliata ad acquaforte
dal suddetto Signor conte, cavata da un disegno del gabinetto del re, alta 6.
dita, e 9. linee, e larga 5. dita, e 8. linee.
Frammento d’un Trattato de’ movimenti del corpo umano, e sopra il modo
di disegnare le figure secondo le regole geometriche. Quest’opera, pubblicata
in Londra da qualche anno dal Cooper, consiste in nove tavole senza titolo.
Alcune sono dimostrazioni con le spiegazioni Italiane fatte di Lionardo, a cui
è stata aggiunta la traduzione Inglese. Altre rappresentano figure umane
d’uomini, e di donne di soli contorni. Elle son fatte con ispirito, e formano
un piccol quaderno in foglio.
Una stampa tonda intagliata a bulino di 7. dita, e mezzo di
diametro, ove sono rappresentati degli intrecci sopra un fondo nero sul gusto
d’alcuni intagliati in legno da Alberto Duro. Nel mezzo di essi si legge in una
piccola cartella academia leonardi vin.
Del resto questa stampa non è considerabile, se non perchè il Vasari ne fa
menzione nella vita di Leonardo, come d’una cosa singolare. Ma per altro non ha
nulla di singolare nell’invenzione; e l’intaglio è una cosa la più rozza del Mondo.
Ma questa non è la sola occasione, in cui il Vasari mostra di sforzarsi per
innalzare alcune minuzie, che non son degne di Lionardo. Può essere, che lo
facesse per far risaltare Michelagnolo, che è il principale oggetto delle sue
lodi.
Un’altra stampa simile pur tonda, e della medesima grandezza, e
col medesimo soggetto. Le parole vi si leggono diversamente, cioè: academia leonardi vici. Queste due
stampe sono assai rare, e io non l’ho vedute, se non nella raccolta di stampe
del re.
L’Abate di Villeloin nel suo catalogo di stampe impresso nel 1666.
a cart. 15. fa menzione nell’articolo di Lionardo da Vinci d’una stampa
rappresentante la deposizione dalla Croce, che egli dice esser cosa
considerabile. Ma non bisogna prendere errore, perchè questa è una stampa intagliata
da Enea Vico non cavata da Lionardo, ma dal Vasari, o da qualche maestro Fiorentino,
e che si trova comunemente. Mi è stato facile l’assicurarmene, perchè la
raccolta, di cui ci dà il catalogo l’Abate di Villeloin, è la medesima, che
quella, che ora possiede il re, e che anche adesso è nel medesimo ordine.
[1] Questa lettera la
credo di Monsù Mariette il giovane diretta al Sig. Conte di Caylus: e del
medesimo Mariette sono le note stampate in carattere tondo.
[2] Giorgio Vasari Aretino Pittore, ed Architetto è stato il
primo, che abbia intrapreso a scrivere le vite de’ Pittori. Il fece a
persuasione di Paolo Giovio, d’Annibale Caro, del Molza, e d’altre persone di
lettere. E comechè la materia, che trattava, era alla sua portata, egli vi
riuscì meglio di qualsivoglia, che abbia scritto di poi su tale argomento. Egli
è tacciato d’essere stato troppo parziale rispetto a i Pittori del suo paese;
difetto, di cui è ben difficile il guardarsene, e che è comune con quasi tutti
gli autori delle vite de’ Pittori, e
specialmente de’ Francesi.
[3] Queste teste sono
caricature toccate in penna maravigliosamente. Gli originali veri furono
comprati in Olanda dal Signor Cardin. Silvio Valenti; e le stampe, di cui quì
si parla, sono nella famosissima raccolta della Librerìa Corsini.
[4] La villa de’ Melzi a Vavero a mezza strada tra Milano, e
Bergamo sulla riva del naviglio, o canal di Martesana, opera di Lionardo, che
tanto per la sua utilità, quanto per le difficoltà, che bisognò sormontare nel
farlo, sarebbe da se solo capace d’eternar la memoria di Lionardo. La
situazione di Vavero è molto piacevole, e questo Pittore vi si ritirava
volentieri, per meditare con più agio.
[5] Non sarà forse discaro d’intender quì, come queste opere
di Lionardo siano venute nella libreria Ambrosiana. In origine erano della
famiglia Melzi, una delle più considerabili di Milano. Francesco Melzi le aveva
avute da Lionardo medesimo, di cui egli era discepolo. Egli amava la Pittura, e
l’esercitava con applauso. Si può giudicare da uno de’ suoi quadri, ch’è a
Parigi in casa del Duca di s. Simone. Egli rappresenta la Dea Flora, ch’è
talmente sulla maniera di Lionardo, che sarebbe facile il prenderlo per suo, se
il Melzi non avesse presa la precauzione di scrivervi il suo nome. Tuttavia
Trichet du Fresne ne ha fatto menzione come di Lionardo nella vita di questo.
Onde non so come nell’Alfabeto pittorico il Melzi sia mentovato come semplice
miniatore. Dopo la morte del Melzi questi preziosi mss. rimasero sepolti
nell’oblio. Il gusto delle belle arti, che di rado si perpetua nelle famiglie,
s’era del tutto estinto in quella de’ Melzi. Questo tesoro v’era anche così mal
custodito, che un certo Lelio Gavardi d’Asola parente stretto d’Aldo Manuzio,
ch’era maestro in quella casa, ebbe tutto l’agio di prendersegli. S’impadronì
di 13. volumi parte in foglio, e in parte in 4. e gli portò a Firenze con
isperanza di venderli cari al Granduca Francesco de’ Medici. La morte
inaspettata di questo Principe mandò all’aria il disegno di Lelio, e lo fece
tornare in se, e pregò Gio: Ambrogio Mazzenta gentiluomo Milanese, che ei trovò
in Pisa, a voler riportare questi libri a Milano, e restituirgli a’ Melzi. Ma
comechè e’ ne facean poco conto, di 13. volumi ne conservarono 7. e anco dopo
che Pompeo Leoni Scultore del Re di Spagna ne fece loro conoscere il valore.
Gli altri 6. volumi rimasero in mano de’ Mazzenti. Questi ne donarono uno a
Carlo Emanuel Duca di Savoja. Ambrogio Figini pittore famoso n’ebbe un altro,
che forse passò in potere del Signor Giuseppe Smit, che comprò tutti i disegni
dello stesso Figini; e uno ne ottenne il Cardinal Federigo Borromeo, di cui
arricchì la librerìa Ambrosiana, che egli appunto andava stabilendo. Egli è in
foglio coperto di velluto rosso, e vi si vede anco di presente. Leonardo vi
tratta de’ lumi, e dell’ombre da mattematico, e da Pittore. I tre altri volumi,
ch’erano presso i Mazzenta, passarono nelle mani di Pompeo Leoni, che avendogli
accresciuti di altre cose di Lionardo, nè compose un sol volume ben grosso, che
conteneva, per quel che si dice, 1750. disegni. Dipoi avendone fatto acquisto
Galeazzo Arconati, lo donò nel 1637. alla medesima librerìa Ambrosiana con
tutto quello, che avea raccolto del medesimo maestro, che consisteva in 12.
volumi. Si dice, che uno di questi volumi è pieno di teste, o di caricature in
numero di circa a 200. Quanto poi a’ sette volumi, che si riserbarono i Melzi,
si crede, che fossero mandati in Ispagna al re Filippo ii. che si piccava d’esserene intendente.
[6] Tommaso Hovvrad Conte Maresciallo d’Inghilterra, e
d’Arundel, Cav. dell’Ordine della Giartiera, [sic] morto nel 1646. Egli fu molto in grazia di Carlo i. Il medesimo buon gusto per le belle
arti gli aveva uniti. Si racconta, che avendo inteso, che il Sig. De la Noue
aveva una bella raccolta di disegni, e specialmente del Parmigiano, e del Ca.
Vanni, il Conte d’Arundel venne subito a Parigi credendo di farne acquisto. Ma
non gli riuscì, e dandosi a conoscere allora al detto Signor De la Noue, ei lo
stimò quel più, e gli confesso la cagione del suo viaggio. Non posso
tralasciare una cosa, che gli fu d’infinita gloria; ed è d’aver arricchito
l’Inghilterra di quelle famose iscrizioni Greche, che sono note presso i dotti
sotto il nome di Marmi Arundelliani. In questo più fortunato del Signor
Peyresc, che avendo avanti a lui comprati questi marmi, non potè giammai
ottener dal Turco la permissione di fargli trasportare in Francia.
[7] Questa raccolta fatta dal Leoni apparteneva allora, cioè
nel 1630. a Galeazzo Arconati. Vi si trova gran quantità di disegni di macchine
inventate da Lionardo, rarj pensieri per costruir canali, per alzar acque
&c. Questi disegni hanno le loro descrizioni scritte dalla dritta verso la
sinistra, che non si possono leggere se non nello specchio. Questa era la sua
maniera di scriver famigliare; nè si sa la causa di questa bizzarria.
[8] Egli era di Praga, e ha intagliato molto, e d’una maniera
gustosa, ma quel che ei faceva con una sua particolar eccellenza, erano le
fodere. In questo è inimitabile. Io spero di dare un giorno alla luce il
ragguaglio della sua vita nella storia dell’intagliar in rame.
[9] Gio: Paolo Lomazzo Trattato
della Pittura libr. 6. c. 23. in Milano 1585. in 4.
[10] Bernardino suo padre era scolare di Lionardo. Oltre i quì
nominati disegni, Lovino possedeva anco il cartone di s. Anna, che Lionardo
avea fatto per una tavola, che dovea dipignere nella chiesa della Nunziata di
Firenze. Francesco i. ne fece
acquisto, e voleva, che Lionardo lo mettesse in opera, quando si portò in
Francia, ma non ebbe effetto. Non si sa come questo cartone andasse a Milano. Lomazzo libr. 2. cap. 17.
[11] Gio: Antonio de Maroulle Siciliano, figliuolo del Duca di
Giovan-Paolo, che fu obbligato di ritirarsi in Francia con la sua famiglia,
quando i Francesi abbandonarono Messina. Non si può aggiunger di più
all’elogio, che ne ha fatto il Signor Coypel in una lettera inserita nel
Mercurio del mese d’Aprile del 1727. Io solamente avvertirò, che la traduzione,
che egli aveva cominciato delle vite de’ pittori del Vasari, era fatta per S.
A. S. il Duca Reggente. Se dal poco, che ha lasciato di questa traduzione, se
ne dee giudicare, dico, che la copia superava l’originale. Egli morì nel mese
di Dicembre del 1726.
[12] Questo quadro è nel gabinetto del Re. Francesco i. lo comprò 4000. scudi, e comechè
dipinto con gran diligenza, egli s’è conservato perfettamente. Vasari vita di Lionardo.
[13] Francesco Scanelli
Microcosmo della Pittura. a 43. In Cesena 1657.
[14] Gio: Paolo Lomazzo.
Idea del tempio della Pittura. Pagina 114. in Milano 1590. 4.
[15] Paolo Pino. Dialogo
di Pittura. In Venezia 1548.
[16] Lionardo. Trattato
della Pittura cap. 273. Parigi 1651. fol. Quest’opera di Lionardo scritta
in Italiano escì per la prima volta alla luce nel 1651. Raffaelle Trichet
Du-Fresne la fece stampare. La cavò da due mss. uno del Sig. de Chantelou, e
l’altro dal Sig. Tevenot. La collazione di questi due mss. gli fu di grande
ajuto per correggere moltissimi passi guasti. Chantelou aveva portato il suo da
Roma nel 1640. che il Cavalier del Pozzo gli aveva donato. Questa era una copia
del mss. originale, dove il Pussino per ischiarir il resto aveva aggiunte le
figure, dove era di bisogno. Ma queste erano fatte a un sol tratto, e
propriamente un semplice schizzo. Errardo fu incaricato di mettervi l’ombre, e
darvi l’ultima mano avanti di consegnarle all’intagliatore. Vi aggiunse anche
alcune figure, che erano scappate al Pussino; il quale dipoi si dolse con
ragione, che i disegni erano tanto alterati nell’intagliargli, che egli non gli
riconosceva più. Nel medesimo an. 1651. il Sig. de Chambrai fratello del Sig.
de Chantelou ne pubblicò la traduzione Francese. Par verisimile, che questo
Trattato su la Pittura sia lo stesso, che un pittore Milanese avea fatto vedere
al Vasari passando per Firenze, e che si disponeva a farlo stampare in Roma.
[17] Ivi cap. 5. 21 e
cap. 44. 97.
[18] Gio: Battista Armenini.
Veri precetti della Pittura lib. 2. cap. 5. in Ravenna 1587. 4. Questo
autore aveva intesa questa particolarità, per quello che si dice, da uno
scolaro di Lionardo.
[19] Lionardo morì circa al 1518. e il Bonarroti cominciò
l’opera del Giudizio nella Sistina nel 1533. sotto Paolo iii.
[20] Cap. 24. 98.
[21] Il Sig. Cooper mercante di stampe a Londra alcuni anni
sono ne ha dato fuori un saggio. Questo non è altro, che un frammento di
un’opera più grande sopra la meccanica del corpo umano, ma che può servire a
dare un idea molto giusta di tutti i mss. di Lionardo, che si conservano in
Milano, e altrove. Tutto si ravvolge sopra simili dimostrazioni, sviluppamenti
della notomìa, macchine di nuova invenzione &c. accompagnate di discorsi
poco intelligibili; il che proviene, perchè l’autore scriveva solamente per se.
Una sola parola gli bastava per fissare il suo pensiero, e lasciava a posta
molte cose essenziali, perchè avendole in mente, le suppliva facilmente
all’occorrenze. Egli metteva in carta tuttociò, che una immaginazione feconda
gli dettava: egli non ritoccava niente, e non istava a ordinare i suoi pensieri
in modo alcuno. Ecco perchè ne’ suoi scritti, tra mille cose eccellenti, sono
delle riflessioni false, e anche arrischiate molte, e un’infinità d’inviluppate.
Leonardo stesso l’avrebbe confessato, e non avrebbe mancato, col bel talento
che aveva, di raggiustare le sue opere, se egli avesse pensato a stamparle. Ma
tali, quali elle sono, sarebbe cosa molto curiosa l’averle: esse scoprirebbero
sempre più la vasta estensione dello spirito dell’autore. Questo ms. di cui si valse il Sig. Cooper, credo, che sia quello, che
circa a 40. anni fa, portò a Firenze un Sig. Inglese, che non aveva trovato chi
lo intendesse, e perciò cercava un pratico degli scritti antichi, che glielo
copiasse. Fu indirizzato al Sig. Francesco Ducci bibliotecario della
Laurenziana, che accortosi, che era scritto a rovescio, lo lesse allo specchio
facilmente.
[22] Egli aveva fatto un Trattato completo della notomìa del
corpo umano, e un altro della notomìa del cavallo. Il Vasari fa menzione di
queste due opere con molta lode. La prima era in mano di Francesco Melzi, la
seconda disparve, quando Luigi xii.
s’impadronì di Milano. Lomazzo libr. 2.
cap. 19.
[23] Vedi Lionardo. Trattato della Pittura cap. 95.
[24] Gio: Battista Giraldi Cintio nato in Ferrara nel 1504. Fu
segretario del Duca Ercole, e poi d’Alfonso d’Este. Le sue opere sono scritte
con molta eleganza. Quella, che si cita quì, ha per titolo: Discorsi intorno al comporre de’ Romanzi,
delle commedie, e delle tragedie, e di altre maniere di poesie. In Venezia
1554. in 4. Il detto Giraldi morì nel 1573.
[25] Vedi il Lomazzo. Trattato
della Pittura libr. 2. cap. 1.
[26] V. Il Sig. de Piles nelle riflessioni in seguito della
vita di Lionardo, il quale de Piles cita il Rubens.
[27] Questa pittura non durò molto nella sua bellezza, perchè
avendola Lionardo dipinta a olio sopra un muro d’un intonaco forte, l’umido
rigettò ben tosto l’imprimitura, e il colore, e la fece cadere sbullettando
l’intonaco.
In verità questa pittura stette perduta un
gran pezzo senza, che se ne vedesse nè pur un tratto, per essere stata coperta
di sucidume. Ma alcuni anni sono fu pulita con gran cura, e avvertenza, onde al
presente un poco si gode. Nel palazzo Vaticano è rappresentata in arazzo, ma
per l’antichità è tanto lacero, che non se nè può far conto veruno. Poi i P. P.
ne hanno tagliato i piedi del Cristo, e d’alcuni Apostoli nel far una porta.
[28] In Francia nè son due belle copie, una in Parigi nella
chiesa di s. Germano d’Auxerre, l’altra nella cappella del castello d’Escoven.
E verisimile, che la prima fosse fatta per Francesco i. che aveva desiderato d’aver l’originale, se fosse stato
possibile. Ce n’è una stampa intagliata sotto la direzione di Pietro Soutman;
ma questo Pittore scolare del Rubens v’ha talmente messa la sua maniera, che
non vi si riconosce più Lionardo.
[29] Vasari vita di Lionardo.
[30] Lomazzo libr. 1. cap. 9. e libr. 2. cap. 2.
[31] Giraldi. Discorsi intorno al comporre de’ romanzi &c.
car. 194.
[32] Questi è quegli, che fu soprannominato il Moro, e che dopo
d’essere stato spogliato de’ suoi Stati, che egli medesimo aveva usurpati al
suo nipote, morì prigioniero nel castello di Loches nel 1510.
[33] Lionardo n’era stato l’inventore. Questa era una specie
d’arpe a 24. corde.
[34] Questo convento, dove Lionardo dipinse questa cena, si
chiama la Madonna delle Grazie.
[35] Egli era di Trevigi Pittore, e Architetto, e lavorava nel
medesimo tempo che Lionardo nel convento di s. Maria delle grazie. Egli sapeva
a fondo la prospettiva. Paolo Lomazzo aveva un manoscritto, di cui era di
questo autore un eccellente trattato, che egli aveva composto su questa scienza
nel 1524. Lomazzo libr. 5. cap. 21. Idea
del tempio della Pittura pag. 17.
[36] Plin. lib. 35. cap. 10.
[37] Lo dice il signor de Piles nel suo
compendio delle vite de’ Pittori, in quella di Lionardo.
[38] Lionardo, nel Trattato della Pittura,
cap. 95. 189. e 190.
[39] Si dee intendere particolarmente delle
prime 38 teste. Elle erano 48. secondo, il che era notato in Tedesco dietro a
una di esse. Bisogna, che con l’andar del tempo si siano dispersi due, o tre
fogli. I disegni, che seguitano queste 38. prime, essendo del medesimo
carattere, vi sono stati aggiunti da qualche dilettante.
[40] Paolo Lomazzo nota, che Lionardo
disegnava volentieri sulla carta tinta, particolarmente allora, che si trattava
de’ suoi primi pensieri. Vi trovava più riposo, e più facilità a trovare i
contorni, nella scelta de’ quali era molto difficultoso. In questa operazione
si serviva o della matita maneggiata leggieri con molta delicatezza, o d’una
penna sottile intinta nell’inchiostro dilavato. Credeva di schivare in questo
modo la confusione, e poteva più facilmente tra molti tratti sceglier quello,
che gli pareva di dover preferire. Lomazzo
Trattato della Pittura libr. 3. cap. 5.
[41] Il Vasari nelle vite de’ Pittori cita
spesso questa raccolta di disegni, che egli avea da se medesimo raccolti con infinite
diligenze. Si dee presumere, che essendo della professione, e buon disegnatore,
ed essendo vissuto con la maggior parte de’ maestri di prima classe, o in tempo
poco lontano da essi, avesse fatta una scelta eccellente. Il che gli era stato
più facile, perchè i buoni disegni non erano stati tanto ricopiati, come seguì
dopo. Questi disegni erano disposti in un gran volume alto circa a due piedi, e
largo 18. dita. Erano a tutte le carte attaccati di quà, e di là, e ve n’era di
quasi tutti i maestri. Per maggior ornamento il Vasari, o i suoi allievi vi
avevano fatto un’orlatura. Il nome dell’autore v’era scritto sotto in buon
carattere. È un danno, che questo volume non si trovi più intero. Vi si sarebbe
potuto imparar a conoscer le maniere, che non si conoscessero, e ci saremmo
confermati nella certezza delle maniere cognite, non si potendo far senza il
paragone, onde questo volume sarebbe una perpetua scuola di critica. Comunque
sia, si dice, che questo volume fu portato in Francia nel secolo precedente, e
cadde nelle mani d’un rivenditore, che non badando se non al suo interesse, lo
sciolse per vendere i disegni al minuto, e con più vantaggio. Ne son restati
molti presso il re, e nel copioso gabinetto del Sig. Crozat.
Altri dicono, ed è più
credibile, che i disegni, raccolti dal Vasari, siano passati nella raccolta de’
Granduchi Medicei.
[42] La raccolta de’ disegni del re consiste
in 5593. disegni, tra’ quali ve ne sono di prima classe. La più gran parte
provengono dal Sig. Jabac, celebre dilettante, che li vendè al re. Ve ne sono
anche di quelli, che erano del Sig. de la Noue. Il numero non è grande, ma è
compensato dall’eccellenza di tutti, e vi si conosce il buon gusto di questo
dilettante. Se n’ha l’obbligo al Sig. Coypel primo Pittore del re, e custode
de’ suoi disegni, d’averli ravvivati. Per l’avanti questa porzione di disegni
era quasi interamente abbandonata. Egli gli cavò da una confusione, e gli fece
aggiustare con tutta la proprietà, che ei meritavano. A lui ancora si ha
l’obbligo dell’acquisto di presso a 200. di cui fu accresciuta la raccolta del
re, quando fu venduto alla spezzata il gabinetto del Signor di Montarsì nel
1712. Essendo poi morto il Sig. le Brun il re acquistò tutti i suoi disegni,
che erano in gran numero. Questo era il frutto dello studio di tutta la vita
d’un Pittore tanto eccellente, quanto laborioso; e non c’era cosa indegna
d’esser posta nel gabinetto di Sua Maestà. Ma anche questi disegni erano in una
confusione tale, che era impossibile il goderli, e il Coypel prese l’assunto di
dar loro quel bell’ordine, io cui sono di presente.
[43] Questi disegni erano di matita rossa con
qualche tratto di penna.
[44] Lomazzo libr. 3. cap. 5.
[45] Andrea del Verrocchio Fiorentino,
Pittore, Scultore, Architetto, e orefice morì a Venezia nel l488. Egli d’ordine
del Senato lavorava in bronzo la statua equestre di Baartolomeo Coglione. Il
Verrocchio non potette mai più ridursi a maneggiare il pennello, dopo che vide,
che Lionardo gli era tanto superiore.
[46] Il Cartone di Lionardo rappresentava due
cavalieri, che contrastavano uno stendardo. Questo gruppo era una parte d’una
più grande storia, che era la rotta di Niccolò Piccinino, generale della truppe
di Filippo Duca di Milano. Ce n’è una stampa, intagliata da G. Edelenck da
giovane, cavata da un cattivo disegno. Michelagnolo aveva rappresentata una
truppa di soldati, che sentendo sonare all’armi nel campo, escono
precipitosamente d’un fiume, dove erano a bagnarsi, per andare al
combattimento. Il soggetto del quadro doveva essere l’assedio di Pisa fatto da’
Fiorentini. Una parte di questo cartone è stato miracolosamente intagliato da
Marcantonio. Questa stampa è chiamata les
grimpeurs. Un’altra parte ne fu intagliata da Agostino Veneziano. Questi
due cartoni stettero esposti nel palazzo de’ Medici fino alla morte del Duca
Giuliano, ma poi disparvero senza sapere quel che nè sia stato. Il Vasari dice,
che quel di Michelagnolo fu messo in pezzi, e che a suo tempo n’era rimasto un
pezzo in Mantova nelle mani d’un dilettante.
[47] Raffaello stesso fece il suo primo
viaggio di Firenze a solo fine di studiare questi cartoni. Il Vasari scrive,
che egli rimase così sorpreso della lor gran maniera, che egli allora prese la
risoluzione d’abbandonare quella piccola, e meschina maniera, che gli aveva
attaccato Pietro Perugino. Bisogna veder quel che dice lo stesso Vasari in
favor di Lionardo nella fine della Vita di Raffaelle.
[48] Lionardo, essendo caduto malato,
Francesco i. gli fece l’onore
d’andare a visitarlo. Riempito di rispetto questo Pittore riunì tutto quello,
che aveva di forze per testificare a Sua Maestà, quanto egli era sensibile a
questo eccesso di bontà; in quello istante un deliquio mortale lo sorprese, e
il re avendolo voluto soccorrere, egli gli spirò tra le braccia.