LEONARDO DA VINCI E IL NAVIGLIO
« Negli uomini illustri le massime doti
suscitano tanto la nostra meraviglia, che di mediocre nulla ci pare compatibile
con la loro natura ». Così recentemente scriveva l’Uzielli nella sua Serie
seconda di Ricerche intorno a Leonardo da
Vinci, imprendendo a dimostrare come il sonetto
« Vogli sempre poter quel che tu devi »,
l’unico
lavoro dal quale molti critici e biografi presero le mosse per fondare la
gloria poetica di Leonardo, non sia altro che una composizione di Antonio di
Matteo di Meglio, araldo della Signoria di Firenze, scritta prima del 1454,
quando cioè Leonardo aveva, al più, due anni.
Quelle parole dell’Uzielli mi rivengono opportunamente
alla memoria nella circostanza, che ora mi si presenta, di parlare di Leonardo
nei suoi rapporti colla Scienza idraulica del suo tempo. Poichè - quantunque l’Amoretti
« le cose scrivendo da storico anzichè da encomiatore » come egli stesso
confessa alla fine delle sue Memorie
storiche sulla vita, gli studi e le opere di Leonardo, abbia, già da quasi
un secolo, pazientemente trattato l’argomento, venendo a limitare d’assai quell’influenza
che si volle attribuire a Leonardo nei progressi dell’idraulica sullo scorcio
del XV secolo - pure avviene ancor
oggidì che l’opinione popolare, ribelle a qualsiasi limite che si tenti imporre
al genio di Leonardo, si compiaccia di attribuire a questi la invenzione delle
conche, e una grande parte dei lavori pel canale della Martesana.
Non a torto quindi il Gori - un altro ammiratore
del Vinci - affermava che « la fantasia popolare ha quasi ribrezzo del vero e
non s’acqueta se non nei sogni del meraviglioso », giacchè le precise
testimonianze dei documenti non hanno potuto ancora correggere o dissipare
quelle erronee tradizioni che, quasi leggende, si sono formate attorno alla
figura del grande artista.
Non riuscirà quindi affatto superfluo il
richiamare brevemente quelle notizie di fatto le quali valgano a stabilire le
condizioni della scienza idraulica prima dell’intervento di Leonardo.
La Lombardia contava già delle opere
idrauliche, di non lieve conto, fin dal XII secolo allorchè - a scopo di irrigazione, fors’anco di navigazione - si
iniziarono le derivazioni del Ticino: altri lavori di maggiore importanza
troviamo nel secolo successivo colla derivazione dell’Adda a Cassano per
formare la Muzza - canale che ebbe a lungo il primato su tutti i canali
artificiali d’Europa - e nel secolo XIV col prolungamento della derivazione del Ticino fin sotto a Milano, col canale
di Pavia, e colla sistemazione del Po da Pont’Albera allo sbocco del Lambro.
A queste grandi applicazioni dell’idraulica si
accompagnavano i perfezionamenti delle disposizioni particolari. I vantaggi che
si sarebbero ottenuti da una comunicazione diretta fra il Verbano e il cuore
della città - specialmente per riguardo alla fabbrica del Duomo che dal Verbano
riceveva i suoi marmi - suggerirono, sulla fine del XIV secolo, di collegare il Naviglio grande col fossato che
circuiva la città: ma, per poter offrire alle barche il mezzo di superare il
dislivello che si verificava fra il laghetto o darsena del Naviglio grande a
Sant’Eustorgio, e il laghetto del fossato, detto di Santo Stefano - dislivello
di circa braccia 5 - si doveva ricorrere ai provvedimenti di aumentare la
portata del canale di congiunzione, sospendendo ad ore determinate tutte le
estrazioni d’acqua, e di innalzare artificialmente il pelo d’acqua in quella
tratta di canale col mezzo di una chiusa temporanea al suo sbocco.
Mediante tali provvedimenti, i materiali della
Fabbrica del Duomo, che nel 1387 venivano consegnati al Ponte della catena, nel 1395 potevano arrivare « per navigium novum ad lagetum Sancti Stefani
in Brolio Mediolani ». La chiusa era ad incastro, come risulta dalla nota
della spesa « pro ferratis et incastro et
reparatione gorghi suprascripti incastri ».
Questa comunicazione, che nei primi anni era
riservata ai bisogni della Fabbrica del Duomo,[1] venne
ben presto messa a disposizione del commercio privato, trovandosi fin dal 1405
stabilita una tassa fissa per ogni barca che transitava. L’artifizio della
chiusa però, oltre alla necessità di sospendere le estrazioni d’acqua - il che
suscitava i reclami degli utenti e segnatamente dei monaci di San Celso e di
Chiaravalle - richiedeva un periodo piuttosto lungo di tempo, con grave
discomodo del transito privato, per il quale veniva sempre più necessaria la rapidità
e la continuità di servizio: questi inconvenienti condussero quindi al provvedimento
di limitare le variazioni di livello - mediante due chiuse - a quella tratta di
canale che fosse strettamente sufficiente a contenere le barche che compivano
il servizio di transito; erano queste le chiuse « pro faciendo crescere et decrescere aquam » che, fin dal tempo dei
Visconti, vennero chiamate conche - acquis
altiora scandentibus machinarum arte quas conchas appellant - come
riferisce il Decembrio: e che vi fosse più di una conca, nel tratto di canale,
o navigium novum di collegamento fra
il Naviglio grande e la fossa della città, risulta da un documento del 1445 il
quale accenna ad una « conca inferior
navigii ducalis noviter constructi ».
La descrizione di questo sistema di conche accoppiate
la troviamo a quest’epoca - e cioè nel 1447 - fatta dall’architetto militare
Francesco di Giorgio Martini, nel codice membranaceo Saluzziano, a fol. 45,
assieme al disegno di questi sostegni. Vi si legge: « Ecchosj per tutto la
longhezza del fiume chon dette porti le sue altezze partiraj Inele qualj el
navilio ho barcha hentrando serrato la porta per lacqua uenente el navilio alzando
subito si heleuarà di poi drento a la sichonda porta hentrare potrà. Esserrato
quella per lo simile modo si heleuarà. Eccosj dalluna elaltra porta di mano in
mano el navilio doue desideri chondur porrai ».
Leonardo da Vinci quindi non era ancor nato e
già il principio, altrettanto semplice quanto ingegnoso delle conche era
applicato, descritto, illustrato. Resta a vedere quali siano i perfezionamenti
che Leonardo vi può avere introdotto. Il Fumagalli, nel Tomo II delle sue Antichità Longobarde, attribuisce a Leonardo tre perfezionamenti: l’aver
fatto i portoni, la disposizione ad angolo di questi, e gli sportelli aperti
nei portoni per il deflusso dell’acqua. In poche parole gli attribuisce l’invenzione
di tutto il sistema. Riguardo l’ultimo perfezionamento, osserveremo anzitutto
come non si possa, per verità, ammettere che l’applicazione dello sportello,
parte essenziale della chiusa, sia stata ritardata sino alla fine del XV secolo; i documenti, del resto, fanno
risalire alla prima metà del secolo anche questo provvedimento. Infatti Leon
Battista Alberti, nel suo Trattato De re aedificatoria
- pubblicato nel 1452, ma scritto qualche anno prima, perchè il Biondo lo cita
già nel 1450 - dopo aver descritto le cateratte aggiunge « Sed omnium commodissima erit valva quæ medio
sui habeat fusum statutum ad perpendiculum, vertibilem. Fuso appingetur valva
quadrangula ut pansa adsit: sed valva istius brachia erunt non coæqualia, altero enim paullo erit retractior ad digitos usque
ad tres. Nam fiet tunc quidem ut uno a puero reseretur et rursum sponte
claudatur vincente ponderibus latere prolixiore ». Le quali parole,
non solo descrivono esattamente il sistema dello sportello, ma danno le ragioni
sulle quali si basava la disposizione del perno verticale e della lieve
differenza delle due ali. Lo sportello non può quindi essere considerato come
invenzione di Leonardo: venendo ora agli altri due perfezionamenti ammessi dal
Fumagalli - i quali, in fondo, si riducono all’unico perfezionamento della
sostituzione dell’incastro alle due porte verticali che si chiudono ad angolo -
si potrà osservare come, dai varii disegni di Leonardo, non si possa dedurre
categoricamente che tale sostituzione gli si debba attribuire. La parola conca impiegata fin dal 1443 assieme alla
parola incastro (vedi Capitoli 25
giugno 1443) potrebbe accennare, fin da quell’epoca, ad una disposizione nuova,
diversa da quella a saracinesca già in uso nel secolo precedente. Del resto,
specialmente nel Codice Atlantico, vediamo dei disegni di chiuse, tanto a
sistema di porte angolari, che a saracinesca, e sopra entrambe le disposizioni
pare che Leonardo abbia studiato dei perfezionamenti; anzi nel disegno 333
Codice Atlantico, la notevole differenza nella lunghezza delle ali dello
sportello - contraria al principio che vedemmo così ben descritto dall’Alberti -
fa supporre che il disegno sia semplicemente uno dei varii tentativi fatti dal
Vinci per migliorare quelle disposizioni ch’egli doveva aver già trovato
applicate nelle conche.
Un altro disegno di conche è quello che figura
nella Raccolta Vallardi (Tavola xxxix)
e che qui si riproduce.
Dei quattro disegni che compongono la tavola,
il primo rappresenta l’alveo del canale sotto la chiusa, coll’indicazione dei
provvedimenti per fondare e consolidare il detto alveo nella parte dove si
effettua la caduta dell’acqua. Vi si leggono di fianco queste parole: La concha di San Marco fece di muro su pali
tutto a b : al fondo di tutta la concha fu gittata giara e chalcina e così
fresca fu messi travegli verdi in traverso di 3 e 4 e la lor sommità fu
riempiuta di giara et chalcina : e essi travegli formano poi fermamente dell’asse
che sopra vi si inchiodarono ma sappi che prima questi travegli sono inchiodati
effermi sopra pali chome vedi di sotto ».
La figura vicina rappresenta la pianta della
medesima conca di San Marco, colle indicazioni:
Quà sta
giara chalcina poi mattoni o asse, e sotto: conca
de Sancto Marcho.
La terza figura serve a spiegare come l’acqua
schiuda lo sportello, per l’ineguaglianza delle ali di questo, e sotto vi si
legge:
a. n. è
lo sportello della concha il quale si torce e non sta diritto con angoli retti
chol locho dove posa perchè quella parte della porta m c gitta più acqua che la
parte s t e poco più sallarga nell’ussita e gitta la punta n della porta m n
dacanto e rompera le rive.
L’ultimo disegno rappresenta tutta la disposizione
della chiusura della conca: vi si vede lo sportello col congegno per chiuderlo,
e la nota: Questa è la catena colla quale
si serra il portello col saliscendolo.
Dalle indicazioni manoscritte che accompagnano
i due primi disegni, mentre risulta che Leonardo ha lavorato alla conca di San
Marco, risulta implicitamente ch’egli si è occupato specialmente a riparare questa conca là dove il
funzionamento della medesima aveva mostrato la necessità di particolari
provvedimenti contro l’azione continua dell’acqua.
Ed ora, passando al canale della Martesana, che
per lungo tempo si volle riconoscere come opera esclusiva di Leonardo,[2] e
ancor oggidì gli si vuole attribuire in gran parte, richiameremo come la
derivazione di questo canale dall’Adda venisse ordinata da Francesco Sforza nel
1457 - assieme a quella dell’altro canale navigabile da Milano a Pavia, per la
via di Binasco e Bereguardo[3] - e
come venisse prestamente condotto a termine dall’architetto Bertola da Novate,[4] tanto
che, nel 1465, la duchessa Bianca Maria ne regolava già la vendita delle acque.
In questa vendita delle acque si era ecceduto,
per modo che la navigazione, benchè ristretta a giorni determinati della
settimana, era assai difficile. Lodovico il Moro, tosto ch’ebbe domate le
ostilità di Bona di Savoja, pensò a migliorare le condizioni del canale, con un
ordine in data 16 maggio 1483. Non si trattava solo di aumentare la portata del
canale, ma di rendere questo navigabile fino al lago di Lecco: ora, il corso
dell’Adda presentava, e presenta ancora oggidì al di sotto di Brivio, una
tratta non breve, rocciosa e di rapida corrente, tale da non essere navigabile:
era quindi necessario evitare quel tratto di fiume, derivando a monte un canale
pel quale potessero discendere le barche, a riprendere il corso dell’Adda là
dove questo tornava navigabile. A chi fosse dato l’incarico di tale opera, non
risulta dai documenti, come pure non risulta che i lavori siano stati intrapresi
con grande attività: vediamo che, nel 1496, si studiava ancora il problema di
rendere navigabile la Martesana: Dux
Mediolani delegavit questorem Guasconum ad excavationem fossi civitatis ultra
jam factam et ad reformationem navigii Martesanæ ut
reddatur navigabile et desserviat fossæ Castri
et viridarii.
Si volle riconoscere nel Vinci l’architetto incaricato delle opere, per il
fatto che egli figura nell’elenco degli ingegneri ducali di quell’anno 1496, e
perchè nei suoi scritti lasciò dei computi di spese e livellazioni riguardanti
la derivazione dell’Adda a Brivio. A nostra volta noi faremo osservare come,
fin dal 1494, figuri nell’elenco degli ingegneri ducali, Bartolomeo Della
Valle, quello stesso che, assieme a Benedetto da Massalia, venne nel 1516
incaricato dell’esecuzione dell’opera, in seguito allo stanziamento annuo di
10,000 ducati fatto, per i lavori del canale, da Francesco I re di Francia. Non è quindi fuor di
proposito l’ammettere che questo Bartolomeo Della Valle sia stato incaricato
degli studi del canale sin dal tempo di Lodovico il Moro, tanto più se si
considera che, al suo titolo di ingegnarius
civitatis Mediolani si aggiungeva già, nel 1494, la qualifica di extimator.
Da quanto si è detto risulta nettamente che i
lavori del canale della Martesana ebbero due periodi, dei quali il primo -
anteriore alla venuta di Leonardo a Milano - è quello dei lavori del canale da
Trezzo a Milano, opera di Bertola da Novate; l’altro periodo invece -
posteriore alla partenza di Leonardo per la Francia - è quello che riguarda gli
studi e tentativi del canale sussidiario detto di Paderno, studi e tentativi
fatti dal Della Valle e dal Massalia, descritti estesamente nell’opera di Carlo
Pagnano, stampata a Milano nel 1520, e che dovevano avere un compimento solo
verso la fine del XVI secolo, per
opera del Meda.
Con tutto questo, non si vuole arrivare alla
conclusione che Leonardo sia stato estraneo alle questioni idrauliche del suo
tempo: era proprio nella essenza del suo carattere l’intervenire in tutti i
problemi che gli si affacciavano: e i suoi scritti, i suoi disegni lo
dimostrano chiaramente. Ma gioverà osservare come, nell’interpretazione e nell’attribuzione
di valore a questi suoi scritti, occorra applicare rigorosamente un vero esame
critico, più che necessario ad accertare i rapporti fra l’opera di Leonardo e
la condizione dei varî rami dello scibile umano al suo tempo.
Troppo facilmente si trascura l’importanza e lo
sviluppo delle arti meccaniche e delle industrie nel medio evo, importanza non
lieve, se si riflette alle singolari qualità di moltissime produzioni e ai
particolari ardimenti di molte opere di quei tempi. Si direbbe che lo squisito
sentimento d’arte, formante la caratteristica di quelle opere e di quelle
produzioni, nel mentre eccita la nostra ammirazione, ci distolga dall’apprezzare
tutta quella abilità tecnica e meccanica che, sotto la veste artistica, pare si
nasconda.
Eppure, quanti perfezionamenti dovremmo pur
riconoscere nelle arti meccaniche e nelle industrie di quei tempi,
perfezionamenti raggiunti colla pratica quotidiana dei materiali, imposti dalla
necessità di ovviare a difetti e inconvenienti, o suggeriti dalle stesse
conseguenze di un accidente. Questi perfezionamenti, nei quali invano si
cercherebbe una legge direttiva, coll’aumentare sempre più, dovevano
avvicinarsi e fondersi, per modo da presentare quelle analogie di disposizioni
e di risultati dalle quali finalmente si rese evidente quella legge che
tacitamente, instintivamente li aveva inspirati.
La parola invenzione,
in molti casi, non è altro che la constatazione, il riconoscimento teorico di
un risultato praticamente già ottenuto, cosicchè non è raro l’errore di
considerare come invenzione, o come applicazione di un principio o di una legge
di recente stabilita, delle disposizioni, le quali, nel fatto, hanno preceduto
il principio stesso, anzi ne furono il germe.
Ora il genio inventivo di Leonardo va
considerato da questo punto di vista, come l’anello di congiunzione fra un
periodo nel quale il progresso era di un carattere schiettamente pratico,
istintivo, e un altro periodo nel quale questo progresso si aggruppa, si
coordina a leggi o principii stabiliti. Si è detto e ripetuto che Leonardo, precursore
di Galileo, inizia il metodo sperimentale:
lo ammettiamo, purchè non si creda, come avviene spesso, che il metodo
sperimentale abbia inaugurato il principio dell’osservazione, mentre invece non
ha fatto che coordinare l’osservazione in modo da ricavarne le leggi della
natura. Così Leonardo ha passato in esame tutto il materiale scientifico dell’epoca
sua, allo scopo appunto di ritrarne delle leggi e delle formole, e in tale suo
procedimento si mise con tanto ardore, da applicarlo anche là dove non era del
caso, come fece per la pittura.
Considerata sotto questo aspetto, la figura di
Leonardo perderà forse parte di quel fascino misterioso che le viene dal
carattere irrequietamente enciclopedico, non si presterà più tanto facilmente
ad assecondare le bizzarrie e i capricci del biografo, sfuggirà a quel critico
che si illude di affrontarne il genio frazionando questo in un esame minuto,
pedestre, d’ogni suo scritto: ma in compenso guadagnerà altrettanto e più in
quella unità di intendimento nella quale solamente questa figura, troppo
analizzata e sottilizzata, si deve ricomporre.
Tale è il punto di vista essenzialmente moderno
dal quale si deve osservare Leonardo. Non dimentichiamo che Burchkardt ha
potuto scrivere due volumi sulla civiltà del Rinascimento in Italia nel XV secolo, evocare la società di quel
tempo e ravvivarla, senza sentire il bisogno di ricopiare per la millesima
volta dal Vasari che « Leonardo cantava divinamente sulla lira ed era il
migliore dicitor di rime all’improvviso del suo tempo », senza sentire il
bisogno di distillare un sonetto d’altri per completare la figura di Leonardo
anche sotto l’aspetto di poeta: e che il Libri ha scritto sul rinascimento
delle scienze matematiche in Italia, senza sentire il bisogno di riconoscere in
Leonardo l’inventore del telescopio e il precursore di Copernico, come fece
qualche ammiratore, per il semplice fatto che in un suo scritto si legge: fa ochiali da veder la Luna grande.
Per concludere quindi, ritornando al punto dal
quale abbiamo preso le mosse, noi potremo apprezzare giustamente l’intervento
di Leonardo nell’idraulica il dì che, invece di una storia del Rinascimento
scritta biograficamente, alla Vasari, a brani apologetici, a colpi di scena, a
quadri plastici nei quali ogni punto luminoso richiede l’artificio di un’ombra,
avremo una storia veramente nazionale, nella quale la figura di Leonardo sarà
preceduta dal Fioravanti di Bologna, dal Bertola di Novate, dall’Aguzio di Cremona,
accompagnata dal Della Valle, e dal Missaglia, e dagli altri che attendono
ancora un poco di giustizia: non avremo più, allora, un Leonardo da romanzo, ma
un Leonardo vivo perchè vero.
LUCA BELTRAMI.
[1] Il Duca proibiva ai 29
aprile 1400 di porre delle chiuse: « ad
Viclabiam et Ticinellum pro illo abiliore tempore quo naves erunt onerate de
saritio pro dicta Ecclesia ».
[2] Al principio di questo
secolo, nell’edizione francese del Trattato
di Pittura, si asseriva ancora che Leonardo aveva eseguito il canale di
Martesana, lungo duecento miglia, e che aveva trovato modo « de faire monter et
descendre des bateaux par dessus les montagnes, et dans le vallèes ».
[3] Si ammette
generalmente, dagli scrittori in argomento, che questo secondo canale da
Milano-Pavia sia stato eseguito da Francesco Sforza solamente fino a Binasco, e
che Galeazzo Maria - dal 1473 al 1475 - lo abbia continuato, approfittando del
cavo già fatto da Galeazzo Visconti nel 1359, senza però condurre a termine l’opera;
invece, da un documento inedito da noi rinvenuto nell’Archivio Sforzesco della Bibliothèque Nationale de Paris, Codice
1591, f.° 230. - Articuli da fe declaradi
per il consilio secreto supra la conditione dil navigio regio - documento
che si riferisce all’anno 1465, risulta che il canale in questione era ultimato
sotto Francesco Sforza: vi si legge infatti:
« Octavo, se preveda omni exceptione remota che
il navilio nouo che decurre da Milano a Pavia habia aqua per la qualle se possa
continuare navigare, et ultra se conduce a belreguardo acqua per quatro mole
oltre lusate si per uso de navilio come per alcuni nostri piaceri ».
[4] Bertola da Novate e
non Bertonino da Novara, come dice il J. P. Richter nel Tomo ii: The
literary Works of Leonardo da Vinci, fol. 230, confondendo con Bertholino
da Novara, architetto consultato per la fabbrica del Duomo nel maggio 1400. -
Vedi Annali Amm. Duomo. Vol. i, pag. 213.
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