martedì 9 dicembre 2014

1920 - La vigna di Leonardo (3) - Luca BELTRAMI


Tipografia Umberto Allegretti
Milano. Via Orti, 2
pp. 1-47

Il crescente interesse per tutto quanto ricorda Leonardo, od ha relazione coi travagliati casi della sua vita, ha richiamato l’attenzione degli studiosi anche sull’appezzamento di terreno, o «Vigna di sedici pertiche» che Lodovico il Moro, pochi mesi prima della sua caduta, donò al pittore. Il D.r Gerolamo Biscaro, benemerito degli studi vinciani per il materiale documentario aggiunto al tema controverso della «Vergine delle Roccie»,[1] si era particolarmente occupato, nel 1909, della Vigna di Leonardo nell’Archivio Storico Lombardo, aggiungendo nuovi documenti ai pochi e non esattamente trascritti che si conoscevano, spianando così la via, non solo al compito di ricomporre le vicende della Vigna che fu di Leonardo, ma di rintracciarne ed identificarne la ubicazione.[2] E se quest’ultimo risultato il D.r Biscaro non potè colle sue ricerche esaurire, obbligato ad arrestarsi ad una semplice induzione, ch’egli stesso riconobbe scarsamente attendibile - per la configurazione anormale del possesso vinciano, risultante dai documenti allora disponibili - egli rese ad ogni modo possibile, al sopraggiungere di nuovi documenti, di identificare la Vigna di Leonardo, quale in queste pagine, e per la prima volta ci proponiamo di segnalare: poichè in questi ultimi mesi il materiale documentario relativo al terreno di Leonardo venne rafforzato da qualche altro dato di fatto, non tanto importante per sè stesso, quanto utile ad una più esatta interpretazione dei documenti già noti: e la nuova indagine, resa possibile colla scorta di questi ulteriori dati, nella zona di terreno che presumibilmente doveva contenere la Vigna in questione, mi ha condotto a riconoscere sul posto - ancora nella disposizione originaria di vigna - il terreno che Leonardo, morendo in terra straniera, lasciò in eredità ai fidi suoi famigliari Villani e Salaj.

Il più remoto accenno a questo possesso si trova nell’atto notarile 2 ottobre 1498, riguardante la permuta di un terreno di proprietà ducale, con altro di proprietà di Elisabetta Trovamali, vedova Crotta (Documento i). La singolarità di questo atto consiste in ciò, che entrambi i terreni formanti oggetto di permuta, risultano confinanti con un appezzamento di proprietà di Leonardo da Vinci, menzionato come «bona data per prelibatum principem (Lodovico M. Sforza) dicto Magistro Leonardo Vincio pictori». E poichè i confini di queste proprietà - menzionate come esistenti nel quartiere di Porta Vercellina, parrocchia S. Martino ad corpus - comprovano come le medesime si trovassero nell’isolato costituito dalle attuali via Carducci (già S. Gerolamo, lungo il Naviglio) via S. Vittore (già stradone di S. Vittore Grande) via Bernardo Zenale (già strada alle Grazie) e corso di P. Magenta (già borgo di Porta Vercellina, o delle Grazie) così il documento di permuta ha potuto bastare, per sè stesso, a designare una vasta zona di terreno, della quale ebbero a far parte le sedici pertiche possedute da Leonardo.
Ma la menzionata singolarità di questo possesso di Leonardo, confinante coi due appezzamenti formanti oggetto di permute, contribuì a deviare ed intralciare le ulteriori ricerche. In base alla circostanza che il terreno della vedova Crotta, ceduto al Duca, si trova menzionato in quell’atto come confinante con altra proprietà «mediante Redefosso», mentre quello ricevuto in cambio risulta confinante colla strada lungo il Naviglio, il D.r Biscaro ammise senz’altro che il terreno di Leonardo avesse l’accesso su questa strada di circonvallazione, trovando però un ostacolo a precisare i terreni permutati, data la notevole distanza di circa settecento metri fra il Naviglio e il Redefosso[3] in contrasto colla esiguità dei terreni permutati, di circa sei o sette pertiche, e della vigna di Leonardo: poichè a proposito di questa egli ebbe ad osservare come le «sedici pertiche assegnate a Leonardo avrebbero dovuto ridursi - stando ai documenti noti - ad una sottile striscia, larga appena venti metri» ammettendo quindi « l’assoluta inverosimiglianza di una configurazione, adatta soltanto per fare di un terreno una strada ».[4]
Per chiarire la vera condizione di cose, dobbiamo riportarci alle circostanze di fatto che determinarono la menzionata permuta.

Verso la fine del sec. xv, la parte extra-muraria a nord-ovest di Milano, fra il Naviglio e il Redefosso, costituiva una larga zona poco abitata, per il fatto che lungo una tratta di circa m. 1250, il circuito di Azone fra la Porta Vercellina e la Porta Ticinese non presentava comunicazioni intermedie col suburbio, all’infuori della Pusterla di S. Ambrogio, e della Pusterla dei Fabbri; e mentre questa provvedeva ad una arteria, sebbene secondaria, del movimento cittadino, corrispondendovi il borgo di S. Vincenzo in Prato, la Pusterla di S. Ambrogio trovava al di là del Naviglio l’ostacolo di un’ampia zona di terreno, di proprietà del Monastero di S. Vittore, adattata a vigna ed attraversata soltanto dalla via di accesso, che dall’Ospedale di S. Ambrogio conduceva alla basilica di S. Vittore, ed alla chiesa di S. Martino al corpo. Il bisogno di espansione della città, col rifiorire delle industrie e dei commerci nel periodo sforzesco, reclamava lo sviluppo di nuovi quartieri, al di là del recinto delle mura di Azone: e Lodovico il Moro, a quel modo che aveva procurato di facilitare le comunicazioni fra 1a città ed il suburbio, aprendo o meglio sistemando le porte che ricevettero i nomi di Lodovico e Beatrice, così decise di dare maggiore sviluppo alle comunicazioni attraverso la Pusterla di S. Ambrogio, facendo a questa corrispondere una nuova arteria radiale, ritagliata nell’anzidetta zona di terreno posseduta dal Monastero di S. Vittore. Già una parte di questa zona era stata, verso la metà del sec. xv, ceduta lungo la strada del Naviglio o fossato della città, in vicinanza della Porta Vercellina, per la erezione della chiesa e del Monastero di S. Gerolamo, dei Gesuati. Lodovico il Moro, mediante una permuta, si procurò una zona ben più ampia dello stesso terreno, per attuare l’apertura di quella arteria, normale alla strada del fossato, e passante a poca distanza dalla basilica di S. Vittore, formando un piazzale davanti la facciata. Questo provvedimento edilizio, che non trovava ostacoli di attuazione - giacchè invadeva una zona di terreno ancora libera da costruzioni private - egli volle integrare con una seconda arteria la quale, dipartendosi dalla prima a poca distanza dal piazzale anzidetto, era destinata a porre in diretta comunicazione la basilica di S. Vittore, colla chiesa delle Grazie: infatti, questa seconda arteria venne tracciata per modo da corrispondere esattamente all’allineamento della fronte delle Grazie. La larghezza assegnata a queste due arterie, in br. 30, e br. 25, inusitata per Milano anche nelle zone suburbane, mentre comprova la grandiosità del concetto attuato da Lodovico il Moro, può giustificare la induzione formulata dal D.r Biscaro, che lo stesso Leonardo non sia rimasto estraneo nel determinarne le modalità, risalendo a quell’epoca vari studi vinciani riguardanti nuovi concetti per sistemazioni edilizie. La seconda arteria di comunicazione fra le due chiese, mentre poteva essere sistemata sollecitamente nella tratta corrispondente al terreno già vigna di S. Vittore, venuto in proprietà ducale, trovava il suo sbocco ostacolato dalle proprietà private costituenti il borgo di Porta Vercellina: poichè lungo la strada che si dipartiva da questa porta nella direzione di Vercelli, si erano sviluppate le case di abitazione, e queste - come generalmente si è verificato nei casi analoghi di sobborghi in direzione radiale rispetto al centro dell’abitato - non avevano riservato alcun sbocco per le comunicazioni trasversali;[5] cosicchè fuori di Porta Vercellina, sulla sinistra della strada che vi corrispondeva, le costruzioni private si susseguivano senza interruzione per una tratta notevole, dal Naviglio sino alla strada corrispondente al circuito dei Redefosso, ossia per circa m. 800: perciò, quella seconda arteria decretata da Lodovico il Moro implicava la necessità di espropriare e di abbattere le proprietà private corrispondenti al suo sbocco nel piazzale delle Grazie. Non era durante gli ultimi mesi del dominio di Lodovico il Moro - già conturbato dalle vicende politiche e dalla minacciata invasione del Ducato - che queste pratiche ed i relativi dispendi potessero essere affrontati; e quando il Moro dovette precipitosamente allontanarsi da Milano, ai primi di settembre del 1499, la progettata nuova arteria fra le due chiese non aveva ancora il suo sbocco, come risulta dal Doc. iv e dai dati di fatto che più avanti menzioneremo. Questa incompleta sistemazione non intralciò ad ogni modo le suddivisioni nell’area scorporata dalla vigna di S. Vittore, in relazione alle nuove destinazioni assegnate ad alcune sue parti.
Furono queste due arterie decretate da Lodovico il Moro nel 1498-99, che costituirono, colla strada lungo il Naviglio, e la strada del borgo delle Grazie, l’attuale isolato già segnalato come includente il possesso di Leonardo, che intendiamo di identificare: isolato allora costituito da proprietà private fronteggiami il borgo delle Grazie, dal terreno di proprietà ducale, residua parte dalla vigna di S. Vittore, e dal monastero di S. Gerolamo, eretto su terreno precedentemente stralciato, come si disse, dalla stessa vigna. Fra i vari scopi dell’apertura delle nuove arterie, essendovi anche quello di ottenere delle aree per nuove costruzioni, Lodovico il Moro non indugiò a disporre di alcuni appezzamenti di quel terreno, il che implicava un piano generale di suddivisione in vari lotti, nella residua parte della ex-vigna di S. Vittore.



Per ricostituire questo piano, al quale si collega direttamente il tema che vogliamo risolvere, abbiamo a disposizione due elementi che debbono integrarsi a vicenda, vale a dire: i dati relativi ai confini menzionati nei vecchi documenti riguardanti le donazioni o cessioni ducali, e le successive loro vicende: le vecchie carte topografiche e quegli altri dati di fatto che, risalendo al sec. xv, possono confermare le testimonianze dei documenti.
Si ritiene opportuno, per la maggiore chiarezza di procedimento, premettere l’esame dei dati di fatto forniti dalle vecchie carte topografiche di Milano, e dallo stato attuale delle suddivisioni di proprietà nell’isolato anzidetto, che distingueremo col nome di isolato del 1499. Per avere una planimetria di Milano attendibile, come punto di partenza per le ricerche che ci proponiamo di compiere, dobbiamo riportarci ad un rilievo della città, eseguito in trabucchi milanesi nel 1722, nel rapporto di 1 a 2000, che si conserva presso il Comune di Milano.[6] Si può dire che sia il primo disegno planimetrico della città, eseguito con assoluta esattezza, tanto che potè servire a suo tempo per le pratiche catastali. Esaminando l’isolato del 1499 (vedi figura a pag. 10), si rileva innanzi tutto la singolarità di una linea interna di confine, parallela al lato verso la strada di S. Vittore, la quale attraversa tutto l’isolato ad una distanza di circa m. 104 da questa strada: dopo di che si può rilevare un altro dato di fatto, vale a dire la porzione di un’altra linea di confine parallela alla prima, distante da questa di circa m. 52, sul prolungamento della quale linea corrisponde una strozzatura nella strada che mette in comunicazione le due chiese. Poichè questa strozzatura - che in parte sussiste ancora - si deve interpretare come una conseguenza del già menzionato ostacolo al normale sbocco della via, cagionato dalle proprietà private del borgo di Porta Vercellina, così si può ragionevolmente concludere che in quella strozzatura sia rimasto individuato il punto in cui l’arteria deliberata dal Moro, cessava dall’attraversare la parte della ex-vigna di S. Vittore, venuta in proprietà ducale, ed investire le proprietà private, Ne consegue che si debbano considerare come elementi fondamentali della suddivisione tracciata nella ex-vigna del monastero, due linee rette parallele a quella strada di S. Vittore. E poichè la vigna di questo monastero confinava colle proprietà private del borgo e col monastero di S. Gerolamo, ne consegue che la seconda di quelle linee rette dovette tagliar fuori dei reliquati di terreno, adiacenti a queste proprietà, alle quali assai probabilmente i medesimi vennero in parte aggregati: ciò che non è dubbio, ad ogni modo, è che la parte più larga di questa residua zona di terreno, stralciata dall’anzidetta seconda linea retta, venne ben presto aggregata al monastero di S. Gerolamo, come risulta dall’atto notarile 2 ott. 1498 (Doc. i), nel quale si dice che il terreno ceduto alla vedova Crotta, confinava «ab una parte monasterij seu bona data per prelibatum Principem. monasterio Sancti Hieronimi» cessione che, non potendo essersi verificata prima che il Duca avesse a disposizione la parte di vigna ottenuta dal monastero di S. Vittore, si deve ritenere avvenuta poco prima, in base alle anzidette linee di confine.[7]

Da quanto si disse, si potrebbe già ritenere come accertato che le 6 o 7 pertiche date in permuta alla vedova Crotta, dovessero costituire una porzione della zona di m. 52 di larghezza, individuata dalle anzidette due linee di suddivisione del terreno, giacchè quelle pertiche erano in confine, come si disse, col monastero di S. Gerolamo da una parte, e col residuo terreno ducale dall’altra «ab alia prefati principis». Ma i confini non essendo menzionati che per tre lati - il terzo corrispondendo a «bona data per prelibatum principem dicto Magistro Leonardo» - lasciano ancora dubbio se il quarto lato della nuova proprietà Crotta fronteggiasse la strada lungo il Naviglio, come risulterebbe verosimile, non potendosi ammettere che si cedesse in cambio un appezzamento di terreno privo di accesso sulla via. Ad ogni modo, questa indecisione lasciata dall’atto del 1498, potrà essere rimossa col prendere in esame gli altri documenti relativi alla vigna di Leonardo ed alle successive concessioni ducali.

Converrà, innanzi tutto, prendere in esame l’altra donazione di terreno fatta da Lodovico il Moro alle monache di S. Caterina da Siena, della quale particolarmente si occupò - fornendo documenti e notizie inedite - il già citato scritto del D.r Biscaro: tale donazione, oltre che da documenti anteriori alla caduta di Lodovico il Moro, risulta dai carteggi posteriori, relativi alle pratiche fatte nel 1505-1506, per rivendicare quella donazione che era stata confiscata, come avvenne per il terrena di Leonardo.
Lodovico il Moro, in data 12 luglio 1499, donava alle monache di S. Caterina da Siena - insediate nell’antico ospedale dei lebbrosi a Porta Romana - una porzione della vigna di S. Vittore, assegnando per la fabbrica dell’erigendo monastero la somma di quattromila ducati: il terreno donato, di venticinque pertiche (Doc. iii) aveva i confini seguenti: la strada lungo il fossato, o Naviglio: il monastero di S. Vittore: la parte della vigna «quam donavimus Leonardo florentino pictori versus Jesuatos» . Anche in questo caso abbiamo la indicazione di soli tre lati di confine, per cui rimane una indeterminatezza di ubicazione: ma non si può a meno di concludere che questa estensione di 25 pertiche dovesse avere il quarto lato lungo la nuova arteria di S. Vittore, non essendo possibile di ricavare, nella fronte, di m. 156 circa - fra il terreno del monastero di S. Gerolamo, già ampliato dallo stesso Duca, e quella arteria - un terzo appezzamento oltre a quello del monastero di S. Lazzaro, e all’anzidetto della vedova Crotta; possiamo quindi pensare che il terreno donato al monastero di S. Lazzaro sia stato descritto come confinante ancora per due lati, colla vigna di S. Vittore, sebbene questa fosse ormai diventata proprietà del Duca e già destinata in parte all’apertura della nuova arteria. A questa conclusione vengono in appoggio i documenti relativi alla accennata rivendicazione. Infatti, la donazione al monastero detto di S. Lazzaro, sebbene fatta verbalmente sin dall’anno 1498, venne con lettere patenti confermata solo poche settimane prima della catastrofe dello Sforza, in sèguito alla quale, le monache vennero private del possesso da certo Bernardino da Intra, detto Franzosino, accampante un diritto su quel terreno, motivato dalla cessione del medesimo a lui fatta mediante atto notarile del 30 agosto, tre giorni prima della fuga del Moro; e ciò in pagamento di un suo credito verso la Camera ducale. Nei documenti relativi alla rivendicatone che le monache tentarono nel 1505-1506 (Doc. v) l’appezzamento di terreno posseduto dall’erede del Franzosino era indicato di 33 pertiche, anzichè di 25, come era detto nel 1499: tale differenza troverà fra poco la spiegazione. Per ora ci basti di prendere atto come il terreno avesse un lato in corrispondenza della strada del fossato, l’altro in corrispondenza del corso o strada nuova, e gli altri due in confine colla residua parte della vigna di S. Vittore: oltre a ciò, le fronti sulle due vie erano indicate come di eguale lunghezza. Rimane pertanto rimossa qualsiasi incertezza riguardo la ubicazione, all’angolo delle due vie, dell’area destinata originariamente al monastero di S. Lazzaro. Ciò posto, dovendosi ammettere che la fronte verso il fossato corrispondesse alla tratta fra l’angolo della strada e la prima delle due linee di confine, parallele a questa, per una lunghezza di m. 102 circa, ne consegue che il terreno dato alle monache di S. Lazzaro, della estensione di 25 pertiche, dovesse avere, lungo la strada di S. Vittore, una fronte lunga m. 160 circa: la fronte del terreno occupato dal Franzosino, verso il fossato, doveva quindi comprendere anche la zona attigua - larga m. 52 circa, come si disse - per raggiungere l’accennata eguaglianza delle due fronti nel terreno posseduto dal Franzosino all’angolo delle due vie: si darà in sèguito una prova in appoggio di tale conclusione.
Potremo fin d’ora spiegare la differenza fra le 25 pertiche del Monastero, e le 33 del Franzosino, richiamandoci all’appezzamento della vedova Crotta, dalle 6 alle 7 pertiche: la quale superficie non potè probabilmente essere maggiormente precisata nell’atto di permuta, per il fatto che questo documento, dovendo precedere la materiale esecuzione del tracciato della strada fra le due chiese, si limitò ad assegnare alla vedova Crotta una estensione di terreno ragguagliata a quella che la medesima avrebbe dovuto presumibilmente cedere, all’atto dell’apertura della via: con ogni probabilità, la zona di terreno da permutare avrà potuto, risultare maggiore di quella prevista nell’atto notarile, ed ammontare ad otto pertiche.
Anche l’appezzamento Crotta potè incontrare la sorte toccata a quello delle monache di S. Lazzaro, ed essere reclamato dal Franzosino, sempre in pagamento del suo credito verso la Camera ducale. Di modo che i due terreni, così riuniti, hanno potuto comporre l’appezzamento di 33 pertiche, fronteggiante le due vie per una lunghezza di circa m. 160: mentre il confine corrispondente agli altri due lati dello stesso appezzamento dovette risultare a linee spezzate, per la diversa profondità delle due aree. Infatti, le venticinque pertiche delle monache costituivano un rettangolo, di m. 102 verso la strada del fossato, e di circa 160 verso S. Vittore, come si disse: le otto pertiche effettive, cedute alla vedova Crotta, formavano un rettangolo di m. 52 verso la strada del fossato, e di circa 100 m. di profondità, anzichè di 160.
Ciò premesso, possiamo esaminare gli altri dati di confine risultanti dalle deposizioni dei vari testi citati nella causa intentata dalle monache di S. Lazzaro, per rientrare nei loro diritti; le quali deposizioni, sostanzialmente concordi, confermano la richiesta delle monache, precisando i confini del terreno da queste rivendicato, vale a dire: la strada del fossato (fossatum mediante strata pubblica): la strada di S. Vittore (strata nova, seu monasterium S. Victoris foris, seu burguss novus): terreno di Leonardo pittore (et tenetur, ut dicitur, per Leoninum Billiam): terreno di Donato da Prata (Doc. v).
Questa confinazione - nella quale interviene anche il terreno ricordato come di proprietà di Leonardo, sebbene nel 1505-06 figurasse tenuto da Leonino Billia, per le ragioni che più avanti si esporranno - consente di stabilire la ubicazione della vigna di Leonardo rispetto al terreno delle monache di S. Lazzaro: e poichè già si è ammesso che la vigna di Leonardo potesse trovarsi compresa nella zona limitata dalle due linee rette fondamentali nel riparto adottato per la ex-vigna di S. Vittore, mentre il terreno vedova Crotta, pure compreso in tale zona, è risultato fronteggiante la strada del fossato, ne consegue che la vigna di Leonardo dovesse formare l’angolo rientrante verso l’interno, già constatato nella zona di pertiche 33 occupata dal Franzosino. Una prova di ciò possiamo dedurre senz’altro da una constatazione di fatto. Si è detto come la seconda arteria di comunicazione fra le due chiese, approssimativamente parallela alla strada del fossato, disti da questa di circa m. 320: ne risulta che la zona di terreno compresa fra le citate rette fondamentali, distanti fra di loro m. 52, era di metri quadrati 16600 circa, corrispondenti a pertiche 25: dalle quali, se leviamo le pertiche assegnate alla vedova Crotta nel numero di 7 - approssimativamente indicate nell’atto di permuta, e che all’atto pratico hanno potuto ammontare ad 8, e forse più, come si disse - la residua parte risulta di pertiche 16 circa, corrispondente all’estensione del terreno donato a Leonardo; il quale risulterebbe di forma approssimativamente rettangolare, della larghezza di m. 52 e della profondità media di m. 200: appezzamento abbastanza proporzionato, avente lungo uno dei lati minori, accesso diretto dalla via di comunicazione fra le due chiese.
E qui non mi indurrei ancora a segnalare senz’altra in questo appezzamento la ricercata vigna di Leonardo, se le ulteriori constatazioni, appoggiate a nuovi documenti, non fossero già destinate a confermare tale accertamento.

A questo punto, un breve riassunto delle vicende toccate alla vigna - vivente Leonardo - riescirà, oltre che interessante per sè stesso, opportuno per dare valore ai nuovi documenti.
Leonardo poteva credere nel 1499 di avere assodata la sua posizione a Milano, mediante il possesso della vigna attigua alla chiesa di S. Maria delle Grazie, non discosta dal Castello. Egli stava per toccare i cinquant’anni, e la possibilità di assicurarsi una dimora stabile, adatta alle molteplici sue occupazioni, doveva certamente sorridergli: al primo di aprile del 1499 egli stende una specie di inventario del denaro che possiede, quasi per misurare la disponibilità della somma occorrente per prepararsi questa dimora:[8] ma le vicende politiche e di guerra conturbano e spezzano ben presto ogni piano; il suo protettore abbandona precipitosamente Milano, e Leonardo, obbligato a provvedere al suo avvenire, invia a Firenze quel peculio, affinchè rimanga al sicuro presso l’Ospedale di S. Maria Nuova, in conto corrente. Quando l’ultima speranza, alimentata dal tentativo di Lodovico il Moro di riprendere il Ducato, venne meno colla cattura di questo disgraziato a Novara, Leonardo abbandonò a sua volta Milano per rimpatriare, dopo di avere affidato la sua vigna a certo messer Pietro di Giovanni da Oppreno, milanese, come risulta dal pagamento del relativo canone di affitto, ricevuto da Leonardo in Firenze nel luglio 1501 (Doc. iv). La mancata notizia di ulteriori pagamenti si può spiegare colla circostanza che, in sèguito alla caduta del Moro, le varie donazioni da questi fatte nell’ultimo periodo del suo dominio, si trovarono esposte a contestazioni ed a confische. Già si accennò alle peripezie del terreno dato alle monache di S. Lazzaro, sottratto a queste dal Franzosino, che a sua volta aveva dovuto difendere il suo possesso, legittimo o no, da ulteriori tentativi di spogliazione, per parte di Scaramuccia Visconti dapprima, poi di Roberto da Stino e Gabriele d’Amboise, invocanti a lor volta una donazione regia in loro favore, Non dovettero mancare consimili tentativi sulla vigna di Leonardo, essendo questi ormai lontano da Milano: vi era, fra i vari beneficati dallo Sforza - che al dire dell’avvocato fiscale Gerolamo Morone, ambirono ben presto cariche e retribuzioni dai francesi - Leonino Billia, già maestro delle entrate straordinarie presso la Camera ducale, il quale non indugiò a sollecitare lo stesso ufficio dal sovrano straniero, offrendo attestazioni di fedeltà al nuovo dominio: e fra le concessioni reali a favore del Billia vi fu quella della vigna di Leonardo, giacchè le donazioni fatte da Lodovico il Moro nei sei mesi precedenti la sua caduta, vennero senz’altro annullate, trovandosi nelle medesime compresa quella fatta a Leonardo; infatti, benchè risalente al 1498 come risulta dal Doc. ii, la donazione aveva avuto sanzione solo colla lettera ducale dell’aprile 1499 (Doc. iii). Questa revisione generale delle alienazioni fatte dagli agenti della Camera ducale venne eseguita per ordine del cardinale di Rohan, nel 1502: ed è a questa data che si può far risalire la confisca della vigna di Leonardo, colla conseguente cessazione del canone di affitto per parte di Pietro da Oppreno.
Non risulta, dai documenti che il D.r Biscaro potè raccogliere, quale effetto abbia raggiunto la rivendicazione del terreno delle monache di S. Lazzaro: si hanno invece notizie positive sull’esito della rivendicazione della vigna di sedici pertiche, promossa da Leonardo nel 1507: poichè, approfittando della circostanza di esser stato chiamato da Firenze a Milano, per la sollecitazione del luogotenente del Re in Italia, Carlo d’Amboise, e per le successive istanze fatte dallo stesso re di Francia presso la Signoria di Firenze, affinchè fosse permesso a Leonardo di trattenersi a Milano oltre il periodo di tre mesi concessogli nel 1506, ed effettivamente prorogato, Leonardo non mancò di far presente la confisca indebitamente commessa in suo danno, della vigna di sedici pertiche; e il D’Amboise ordinava ai maestri delle entrate ducali straordinarie «tocando il caso de Magistro Leonardo Fiorentino, che lo remetiate nel primo stato come esso era de la vigna sua, inante che la gli fusse tolta per la Camera» (Doc. vii) il che si doveva effettuare senza che Leonardo «habia a patire spesa pur di uno soldo». In seguito a ciò, con regolare deliberazione del 27 aprile 1507, Leonardo venne rimesso nel pieno possesso «illius vinee site extra portam Vercellinam Mediolani in suburbijs apud fossam urbis, nuncupate vinee Sancti Victoris».
La rivendicazione di Leonardo giungeva tanto più opportuna per il fatto che a quel tempo si cercava di rimuovere l’ostacolo a che la strada - destinata anche a facilitare l’accesso alta vigna di Leonardo - avesse a sboccare nel piazzale della chiesa di S. Maria delle Grazie; infatti nel 1507, tanto il priore di S. Vittore, come il priore e i monaci delle Grazie, non che vari cittadini «habentes predia et demos in burgo P.te Vercelline» avevano ricordato la deliberazione da Ludovico il Moro presa nel 1498, di aprire la strada di comunicatone fra le due chiese, il che era stato intralciato «ob quandam domunculam per quam ipsa strata ingressum habere opportet» del valore di lire 280 imp.: e il Re di Francia scriveva ai maestri delle entrate straordinarie (Doc. vi), accogliendo la proposta che alla reclamata espropriazione di quella casa si facesse fronte coll’affitto livellario di un altro appezzamento della ex-vigna di S. Vittore, usufruito da Innocenzo Corbetta, ammontante ad annue lire nove imp., lasciando di stabilire, a loro piacimento, se quel reddito annuo, cui rinunciava la Camera regia, avesse a servire per una permuta, oppure per una vendita, purchè l’utile ricavato fosse destinato ad acquistare la casa per aprire lo sbocco della via.
Questo giro di pratiche, escogitato semplicemente per espropriare una casetta del valore di lire 280 imp., concorre a spiegare perchè dell’ultima sua tratta, la via di comunicazione fra le due chiese, non presenti la larghezza stabilita per il primo tronco aperto da Ludovico il Moro, in metri 15, la quale avrebbe richiesto una maggiore espropriazione; così si ebbe il risultato di quella strozzatura che si rileva in tutte le vecchie piante topografiche di Milano, specialmente in quelle del sec. xviii: strozzatura in parte esistente tuttora, là dove la via Zenale sbocca nel Corso Magenta. Ad ogni modo, coll’apertura, sia pure in sezione ridotta a metà, della strada fra le due chiese, le proprietà fronteggianti la medesima non dovettero tardare a risentire il beneficio della migliorata viabilità in quella zona del suburbio. Quale uso abbia fatto Leonardo del terreno di sua proprietà, nei sei anni trascorsi dopo la raggiunta rivendicazione, sino alla seconda e definitiva sua partenza da Milano per Roma, nel settembre 1513, non risolta da documenti e memorie del tempo. Abbiamo però, nel 1510, un fatto nuovo: fra il priore del monastero di S. Gerolamo, e il già menzionato Pietro di Giovanni da Oppreno, viene stipulata, nel marzo, una convenzione relativa al muro divisorio fra la parte della ex-vigna di S. Vittore donata a quel monastero, e la parte donata a Leonardo (Doc. ix). Infatti il Pietro da Oppreno vi interviene «in nomine proprio et item nomine et vice et ad partem et utilitatem dom. magistri Leonardi de Vinziis de Florentia, et Jo. Jacobi dictum Salibeni de Oppreno filij sui». Questa circostanza - alla quale non si era prima d’ora attribuito importanza, tanto che le citazioni di quella convenzione trascurarono la menzione dell’intervento dal padre e figlio da Oppreno - mi ha concesso recentemente, non solo di trovare la ragione di tale intervento, ma di individuare chi fosse il «Jo. Jac. dictum Salibeni de Oppreno» riconoscendo in questa persona quel Salaj - erroneamente noto col nome di Andrea Salaino - il quale, decenne, venne assunto da Leonardo al suo servizio come modello, poi come allievo, e fu in sèguito il compagno fedele nelle varie peregrinazioni a Venezia, Firenze, Roma e in Francia: infatti, il Gio. Giacomo che Leonardo ospitò nel luglio 1490, era il figlio di quel Pietro da Oppreno, cui Leonardo affidava nel 1499 la vigna in affitto, all’atto di abbandonare Milano assieme al giovinetto, da lui ripetutamente menzionato dal 1494 in poi, col nome di Salaj. Risultano da tale circostanza rapporti di interesse fra Leonardo e la famiglia da Oppreno, per cui si viene a spiegare l’intervento di questi nella convenzione per un muro divisorio, che nel 1510 era stato noviter innalzato dagli Oppreno, a parziale sostituzione della siepe dividente le due proprietà[9].
Si può quindi arguire che tale sostituzione si riferisse ad una mutata destinatone della vigna di Leonardo, nel senso che il proposito di erigervi una casa di abitazione, avesse reso necessario di provvedere ad un confine più sicuro, che non fosse una semplice siepe, sostituendo a questa un muro «de cemento et lapidibus» alto nove braccia, ossia più di metri cinque. Che il Salaj avesse precisamente eretto, fra il 1510 e il 1513, una casa sul terreno di proprietà di Leonardo, già risultava dalla stessa menzione da questi fatta nel suo testamento (Doc. xi), del «jardino che ha fora da le mura de Milano, nel qual jardino il prefato Salay ha edificata et constructa una casa».
Oggi possiamo aggiungere la testimonianza di un documento decisivo. È noto, per l’annotazione fatta da Leonardo sulla coperta del Cod. E, all’Istituto di Francia, che il Salaj lasciò Milano, in compagnia del maestro diretto a Roma, in data 24 settembre 1513. Questa partenza, che non lasciava prevedere un ritorno a breve scadenza, dovette indurre il Salaj a sistemare le sue faccende a Milano: ed è appunto due giorni prima di quella data, ch’egli - il padre suo Pietro essendo morto fra il 1510 e il 1513 - stipulò l’affitto della vigna (Doc. x), indicata nell’atto notarile di «pertice xv, vel decesseptem» a certo Antonio da Meda, per la durata di tre anni, a partire dal successivo giorno di S. Michele, da rinnovare a beneplacito dei contraenti. L’atto, oltre che per il nome di «dominus Salay,[10] de Caprotis filius q. d. dom. Petri» e per le coerenze indicate, è interessante perchè accenna ad una casetta esistente nella vigna, di cui una «coquina et una camera supra dictam coquinam» erano riservate «pro uxu matris dicti locatoris»: la condizione aggiunta, alla fine dell’atto, che la parte di proprietà così riservata, non avrebbe potuto essere altrimenti affittata, ma doveva rimanere a disposizione del locatore, dimostra la previdenza del Salaj di non comprometterne la eventuale disponibilità per suo uso.
Venendo alle coerenze della vigna, troviamo che da una parte questa confinava colla strada - la quale per il fatto di non essere specificata, si deve intendere quella, ancora senza nome, destinata a collegare le due chiese - dall’altra il monastero di S. Gerolamo, dall’altra Giov. Pietro Franzoxini, e in ultimo «dom. Jeronimus Vicecomes», o suoi agenti. La coerenza con un Franzosino, viene a conferma della già fatta induzione che il Bernardino da Intra, detto Franzosino, avesse nel 1499 occupato, non solo il terreno delle monache di S. Lazzaro, ma anche il terreno della permuta Crotta, di sei a sette pertiche; questo terreno figurerebbe passato in proprietà di G. Pietro Franzosino, che si presenterebbe come di lui erede: mentre l’altro confinante, Gerolamo Visconti, risulterebbe in possesso di tutto, o parte del terreno tolto alle monache, il quale, occupato dal Franzosino dapprima, a soddisfazione di un suo credito verso la Camera ducale, era stato successivamente reclamato, come una donazione di Luigi xii, dal Visconti Scaramuccia, che aveva appunto la sua casa vicino sulla Porta Vercellina.
Lo stesso testamento di Leonardo - per cui la proprietà della vigna veniva assegnata in parti eguali al Villani e al Salaj - predispone gli elementi per la definitiva identificazione della vigna di sedici pertiche, secondo i confini, ormai sufficientemente designati dai citati documenti. Infatti, il Villani che aveva assistito Leonardo in Cloux, sino all’ultimo giorno - mentre il Salaj figura già rientrato a Milano nel 1518 - rilasciava procura a Girolamo Melzi - zio di Francesco, l’erede di Leonardo - con «piena autorità et mandamento de pigliare possessione de la medietà del jardino lasciatogli da Leonardo de Vince, et di poter dividere et partire la detta medietà con m. Salay, ratificando la divisione che sarà da lui fatta»: anzi gli da autorità di poterla «vendere a quel prezzo a lui parirà» (Doc. xii).
Si deve arguire che la divisione di quella zona di terreno, larga verso la via m. 52 circa, profonda m. 160, fosse praticamente effettuata nel senso trasversale, in modo da formare un appezzamento in fregio alla via, di m. 52 per m. 80, ed uno interno di eguali misure, in confine col monastero di S. Gerolamo; sembra ovvio altresì il pensare che l’appezzamento toccato al Salaj, contenente la casa da lui costrutta, dovesse essere il primo, per la comodità dell’accesso alla casa, presumibilmente eretta in fregio alla via, od a poca distanza da questa: induzione confermata dal documento decisivo che - riportato incompletamente e scorrettamente dall’Amoretti, nelle sue Memorie su Leonardo - venne in questi giorni pubblicato integralmente ed annotato da Gerolamo Calvi.[11].
Il Villani, ritornato dopo la morte di Leonardo in Italia, probabilmente assieme al Melzi, conservò per alcuni anni la sua parte di proprietà, sino a che nel 1534, sollecitato probabilmente dai monaci di S. Gerolamo, suoi confinanti, si decise a cedere loro il suo terreno; il quale essendo privo di accesso diretto sulla via pubblica, risultava certo più utilizzabile col trovarsi incorporato al giardino ed ortaglia del monastero, fronteggiante la strada del fossato. In data 30 marzo 1534. veniva stipulato l’atto di cessione (Doc. xiv), col quale «dominus Baptista de Villanis filius quondam dom. Bonifatij porte horientalis parochie sancti Stephani in brolio intus Mediolani, legatarius testamentarius quondam dom. magistri Leonardi de Guinziis Florentini pictoris» vendeva la metà «viridarij seu zardini unius quod esse dicitur perticarum sexdecim, vel circa, siti in porta vercellina parochia sancti Martini ad Corpus foris Mediolani». La menzione della originaria superficie complessiva, in sedici pertiche, dicitur, vel circa, porta a concludere che una divisione definitiva fra il Salaj e il Villani non fosse ancora stata fatta, sebbene nell’intervallo di tempo il Salaj fosse morto e la metà della vigna di Leonardo fosse passata in proprietà della di lui sorella, Lorenzina Caprotti. Ciò che maggiormente interessa nell’atto di vendita, è la indicazione dei confini della proprietà Villani «cui coheret ab una parte dicti monasterij Sancti Hieronimi, ab alia Laurenzine de Caprotis legatarie suprascripti quondam dom. magistri Leonardi,[12] ab alia illorum de besutio et ab alia maestri Ambrosij de Sexto spadarij, sive qui exercet artem ensium».
Queste indicazioni confermano innanzi tutto, come la metà vigna del Villani non avesse alcuna comunicazione colla via pubblica, mantenendo sull’altra metà del Salaj una servitù di passaggio: menzionano due confinanti privati, uno dei quali, lo spadaro, doveva probabilmente corrispondere al lato verso il borgo di Porta Vercellina, dal quale la fucina avrà avuto il suo accesso; mentre il Besozzo risulterebbe proprietario di parte del terreno già donato alle monache, e che in sèguito alla mancata rivendicazione del 1506, non avrà tardato ad essere frazionato in piccole proprietà, aventi l’accesso dalla strada di S. Vittore.
Non è però da escludere che il terreno donato a Leonardo nel 1498, avesse anche un diritto di accesso dalla strada lungo il Naviglio, fra il terreno dato al Monastero di S. Gerolamo, e il terreno dato in permuta alla vedova Crotta: il che è tanto più probabile, pensando che l’apertura della strada di comunicazione fra le due chiese di S. Vittore e S. Maria delle Grazie -destinata a fornire il normale accesso alla proprietà di Leonardo - rimase in sospeso per parecchi anni: questa condizione si potrebbe intravvedere nelle indicazioni del Doc. x, relative ad una parte di terreno e di locali, esclusi dall’affitto che il Salaj fece della sua proprietà, pochi giorni prima di assentarsi da Milano, per accompagnare Leonardo a Roma.

Ed ora, tenendo calcolo delle varie e successive menzioni dei confini per i vari appezzamenti di terreno compresi nell’isolato dell’anno 1499, potremo coordinare, colla scorta dello schema riprodotto alla pagina seguente, gli elementi di fatto concorrenti all’identificazione della vigna di Leonardo.



La vigna del monastero di S. Vittore, verso la fine del sec. xv si estendeva sino alle proprietà private fronteggianti la strada ad del borgo di Porta Vercellina, avendo con questa un confine che si può ricostituire nella linea xtwz: la zona segnata vo corrisponde al Monastero e chiesa di S. Gerolamo, eretti nella seconda metà di quel secolo, su di una parte della stessa vigna, Ludovico il Moro si procurò un’altra zona della vigna di S. Vittore, all’intento di aprire, in corrispondenza della pusterla di S. Ambrogio (b) lo stradone di S. Vittore, bce, e la strada alle Grazie, cd: questa però potè essere sistemata nella larghezza di braccia 25, soltanto sino al punto t, corrispondente coll’anzidetto confine fra la vigna e le proprietà private formanti il borgo delle Grazie: la porzione di vigna in tal modo scorporata dal resto, delimitata dalle due nuove arterie, dalla strada di S. Gerolamo, e dalle proprietà private del borgo delle Grazie, venne ripartita innanzi tutto in due zone rettangolari, mediante le linee rette mn e tu, parallele allo stradone di S. Vittore.
Una metà della prima zona bcmn, larga m. 104 circa, lunga in media m. 320 - ossia di mq. 3300 circa, corrispondenti a poco più di pertiche milanesi 50 - venne da Lodovico il Moro donata alle monache di S. Lazzaro, ed è precisamente l’appezzamento all’angolo della strada di S. Gerolamo collo stradone di S. Vittore, segnato bqrn, di circa pertiche 25; mentre dalla seconda zona nmtu larga m. 52 circa, e profonda m. 324 in media - ossia di mq. 2700 circa) corrispondenti a pertiche 25 - Lodovico il Moro stralciò la parte segnata io, fronteggiante la strada di S. Gerolamo, npsu, dell’estensione di circa 6 a 7 pertiche destinandola in cambio di terreno di proprietà della vedova Crotta, nella zona x, occorrente per aprire la strada cd: la permuta ha potuto risultare, all’atto pratico, alquanto maggiore delle sette pertiche previste nell’atto notarile.
La rimanente zona mpst - tratteggiata nello schema, e segnata iio, è quella che venne assegnata a Leonardo. L’altra porzione di ex-vigna di S. Vittore, che la linea tu ebbe a stralciare dalle anzidette zone, venne destinata ad incremento del monastero di S. Gerolamo, ed è quella segnata iv° sullo schema; probabilmente tale reliquato, largo verso la strada di S. Gerolamo circa m. 90 (tratta uz), e che andava rastremandosi, per il fatto che l’andamento del borgo delle Grazie non era parallelo allo stradone di S. Vittore, non dovette essere interamente aggregato al monastero di S. Gerolamo, ma solo sino all’allineamento y - come si rileva nelle vecchie carte topografiche - giacchè al di là di questo allineamento, la con figurazione dell’esile reliquato triangolare può averne consigliato l’incorporamento colle adiacenti proprietà private del borgo delle Grazie.
Ciò posto, la lettura dei vari confini menzionati nei documenti riesce evidente e decisiva, nel senso della tesi sostenuta. Lodovico concede in permuta alla vedova Crotta un terreno di circa 7 pertiche, confinante: lunga su col terreno «seu bona data per prelibatum principem» al monastero di S. Gerolamo (zona d dell’appezzamento ivo aggregato all’originario possesso vo del monastero): lungo sp con Leonardo «seu bona data per prelibatum principem dicto mag. Leonardo »; lungo pn col terreno «prefati principis» ossia il lotto iiio che il Duca non aveva ancora destinato alle monache di S. Lazzaro: il quarto confine non è indicato, probabilmente perchè il lato nu corrispondeva alla strada pubblica, lungo il Naviglio, o fossato della città.
Successivamente, Ludovico il Moro donava alle monache l’appezzamento iiio, contrassegnato bqrpn, di pertiche 25, i confini del quale vediamo menzionati solo nel 1505, dopo che il lotto iiio era stato occupato dal Franzosino, unitamente al lotto io, costituendo la superficie complessiva di pertiche 33 (25 il lotto S. Lazzaro, ed 8 il lotto vedova Crotta). I confini risultano: per il lato bnu «fossatum civitatis mediante strata publica»: per il lato bq «strata nova, seu burgus novus S. Victoris»; per le tratte rp, ps il terreno «Leonardi Florentini»: per il tratto qr Donato da Prata: mancherebbe l’accenno alla tratta su, in confine col monastero di S. Gerolamo, indicazione ritenuta forse superflua.
Ciò posto, la vigna di Leonardo - zona mpst - all’epoca della donazione dell’anno 1499, aveva per confinanti: lato ps la vedova Crotta (Doc. i): lato mp, per la tratta rp, il monastero di S. Lazzaro (Doc. ii, ix, x, xiv): lato ts, nella tratta ys, il monastero di S. Gerolamo (Doc. i, ii): lato mt la decretata strada, non ancora aperta, verso il borgo delle Grazie.
Le variazioni avvenute nelle proprietà confinanti, dopo il 1500 e sino alla morte di Leonardo, si possono così riassumere:
Apertura della strada alle Grazie, in sèguito all’esproprio di mia casa privata prospettante sul piazzale delle Grazie (Doc. vi): trapasso della zona iiio (bqrpn) già destinata al monastero di S. Lazzaro, e dell’altra zona vio rimasta proprietà ducale nel 1499, in proprietà di privati, fra i quali si ha memoria di un Besozzo, di Donato da Prata, di Gerolamo Visconti: trapasso del terreno io dalla vedova Crotta, a G. Francesco Franzosino: mentre la zona in confine ty possiamo ritenere fosse già stata aggregata, sino dal 1499, alle proprietà private costituenti il borgo delle Grazie, fra le quali la casa della famiglia Della Tela. La vigna di Leonardo, lasciata per testamento al Villani e al Salaj in parti eguali, venne suddivisa in due lotti a e b, il primo essendo toccato al Salaj che vi aveva già eretto una casa: il secondo al Villani, che nel 1534 lo cedette al monastero di S. Gerolamo; nella quale circostanza, i confini vennero menzionati in conformità delle suesposte vicende: da una parte il monastero acquirente (tratte sy e ps) dall’altra Lorenzina de Caprotti, sorella del Salaj ed erede del lotto a: dall’altra i Besozzi, proprietari di parte del lotto iiio o del vio: infine lo spadaro Ambrogio da Sesto, alla officina del quale si accedeva probabilmente dal borgo delle Grazie.

Già ritenni - a proposito della destinazione della vigna donatagli da Lodovico il Moro - di escludere che Leonardo abbia avuto il tempo materiale per sistemare la sua abitazione, oppure una semplice officina per i molteplici suoi lavori e studj, mentre il D.r G. Biscaro accennò alla probabilità che del terreno a sua disposizione, Leonardo siasi giovato senza indugio per allogarvi il modello della statua equestre di Francesco Sforza.
La ipotesi del D.r Biscaro, per sè stessa attraente, si appoggia sopra un passo della lettera ducale di donazione 26 aprile 1499, che prima di lui era stato trascurato, in conseguenza di una vecchia ed inesatta trascrizione di quel documento, vale a dire la frase: «igitur et etiam sedis et mansionis apud nos sua, quam nos hactenus gratam gratiorem etiam futuram in dies confidimus, initium faciamus» (Doc. ii): omessa la parola sedis, dal primo trascrittore del documento, e quindi da altri che riportarono il testo - del quale non era precisata la posizione di archivio - risultò menomato il senso di quel passo, col quale, come osserva il D.r G. Biscaro, volle il principe dichiarare che lo scopo della donazione di terreno fosse altresì di fornire all’insigne artista, altamente elogiato nelle prime frasi della lettera, la opportunità di costruirsi una casa di abitazione, destinata a rinsaldare i vincoli che già lo legavano al Duca. L’essere il terreno a poca distanza dal Castello e dalle Grazie, dove erano recenti le prove dell’attività di Leonardo al servizio del Duca, avvalora la ipotesi che Leonardo, qualora avesse avuto l’agio di farlo, avrebbe su quel terreno sistemata la sua dimora. Lo stesso D.r Biscaro, a maggiore fondamento della sua ipotesi, accennò alla probabilità che Leonardo avesse senza indugio levato dalla Corte vecchia, dove si trovava ancora nel 1497, il modello della statua equestre, per portarlo nella ex-vigna di S. Vittore, dove avrebbe potuto svolgersi il noto episodio degli arcieri guasconi, che quel modello trattarono come bersaglio, per il fatto che le prime truppe francesi, entrate sotto il comando del Trivulzio in Milano, nella prima decade del settembre 1499, posero il loro campo nella località detta ancora oggidì Maddalena, ad ovest della vigna di S. Vittore.
Ma il coordinamento delle varie date aventi riferimento diretto colla vigna e con quell’episodio, concorre ad escludere che Leonardo abbia avuto il tempo materiale per compiere una sistemazione qualsiasi nella zona di sua proprietà. Infatti, la donazione di questa, se venne decisa indubbiamente prima dell’ottobre 1498 - a questa data essendo già ricordata nell’atto della permuta colla vedova Crotta - non può avere preceduto l’atto relativo alla cessione della ex-vigna di S. Vittore, fatta dal monastero al Duca solo in data 9 agosto di quell’anno: mentre, prima di questa data, le pratiche per effettuare il cambio di quella parte della vigna col possedimento di Cusago[13] si limitarono a stabilire provvisoriamente un livello perpetuo sulla zona scorporata dalla proprietà del monastero. Ora si ricordi come nel giugno 1497, il Duca raccomandasse ancora «de solecitare Leonardo Fior.no perchè finisca l’opera del Refittorio delle grazie principiata» e come avesse in animo di affidare allo stesso Leonardo «l’altra fazata (o parete) d’esso Refittorio» dipinta invece dal Montorfano: si ricordi come nell’aprile 1498, Leonardo promettesse de «finire la camera grande de le asse per tuto setembre» di quell’anno: cosicchè, dal giugno 1497, al settembre 1498, Leonardo si trovò assorbito dall’impegno delle due commissioni ducali, il Cenacolo nel Refettorio delle Grazie, e la vôlta nella Sala delle Asse, in Castello. Una occasione non si poteva quindi presentare ai Moro, in quel momento, più propizia di quella di attestare la sua gratitudine verso Leonardo, senza attendere le formalità della lettera 26 aprile 1499 colle relative frasi laudative, promettendo al pittore - di cui voleva ancora più assicurarsi l’opera in avvenire - una zona di terreno da stralciare dalla vigna venuta in libero possesso nell’agosto 1498, vale a dire nei giorni in cui Leonardo portava a compimento la vasta decorazione nella Sala delle Asse, e si accingeva a dimostrare un ulteriore interessamento per altre opere decorative nella sacrestia del Convento delle Grazie, dal Moro ancora più prediletto, dopo che Beatrice d’Este vi aveva trovato sepoltura.[14] Ma l’assegnazione delle sedici pertiche, per quanto si voglia ritenere avvenuta nell’agosto 1498, non potè essere precisata sul terreno, nel senso di fissarne rigorosamente i confini: la stessa lettera ducale, che otto mesi più tardi attribuisce alla donazione - fatta forse solo verbalmente nel 1498 - la forma legale, non tralascia di dichiarare che con altra lettera, i confini della vigna di Leonardo sarebbero stati meglio precisati «terminos et circonstantias coherentes alteris nostris aperta declarabimus» (Doc. ii). Ne consegue la difficoltà di immaginare che Leonardo, nel breve lasso di poche settimane intercorso fra la donazione in forma regolare, ma indeterminata ancora nei confini, e la caduta del Moro, abbia potuto sistemare, sopra una zona di terreno non ancora provvista di regolare accesso, le costruzioni occorrenti per effettuarvi il trasporto del grande modello equestre. La deduzione che nessuna opera sia stata da Leonardo eseguita nelle sue sedici pertiche, prima della sua partenza da Milano, trova conferma nei documenti successivi, riguardanti la vigna ch’egli diede in affitto al padre del Salaj nel 1499, senza che in questi si accenni ad uno stabile compreso nella vigna: mentre nel caso che Leonardo avesse innalzato per suo conto, su quel terreno avuto in dono, una casa per suo uso, avrebbe sentito la opportunità di farvi menzione, sia all’atto di rivendicare il terreno nel 1507, sia nel testamento col quale assegnava la vigna in parti eguali al Salaj e al Villani; egli accenna invece come nella parte assegnata al Salaj questi «ha edificata et constructa una casa, la qual resterà similmente e sempre mai perpetuitudine al dicto Salaj ecc.»; la quale casa, questi non poteva avere costrutta nel 1499 - avendo allora solo dicianove anni - ma solo più tardi e presumibilmente nel 1510, quando dalla costruzione di una casa, potè derivare la necessità di meglio assicurare i confini del terreno circostante, mediante il muro divisorio, cui si riferisce la convenzione del marzo 1510 (Doc. ix).



Dobbiamo quindi concludere che la vigna di Leonardo sia rimasta nelle condizioni in cui si trovava all’atto della donazione, sistemata semplicemente a vigna, con un viale mediano o pergolato, dividente 1a conformazione adottata nel 1499, di un rettangolo largo m. 52, e profondo m. 160: possiamo altresì arguire che la vigna non abbia mai avuto altre costruzioni, oltre alla menzionata casa, eretta dal Salaj, la quale nelle vecchie carte topografiche di Milano risulterebbe una piccola costruzione, non discosta dalla fronte della strada. Solo pochi anni or sono intervenne la prima modificazione, per cui una parte della vigna, prospettante la via di comunicazione fra le Grazie e S. Vittore - oggi chiamata Via Bernardo Zenale - venne occupata dalla casa civile, distinta col numero civico 7.






Una gradita sorpresa mi era riservata il giorno in cui, dopo di avere coordinate le prime risultanze - mettendo d’accordo i dati delle vecchie carte topografiche di Milano, colle indicazioni fornite dai documenti e dagli atti notarili relativi alla vigna di Leonardo ed attigue proprietà - mi proposi di constatare sul posto quale sorte fosse toccata alla «vigna delle sedici pertiche» poichè, affacciatomi ad uno spiraglio che la porta nel muro di cinta al n. 5 della via Zenale, concedeva per una ispezione nell’interno della proprietà risultatami esser quella di Leonardo, mi si presentò un viale pergolato, attraversante in senso longitudinale una zona alberata, offrente configurazione ed estensione corrispondenti alla porzione di vigna di Leonardo toccata al Salaj.
Volle il caso che tale constatazione sul posto avvenisse alla vigilia della già deliberata suddivisione di quella zona in lotti per costruzioni civili, di modo che giunsi appena in tempo per assicurare un ricordo suggestivo della vigna che fu di Leonardo, ricavando alcune fotografie all’atto stesso in cui si metteva mano a tagliare le viti, e ad estirpare le piantagioni.
La destinazione di quella zona per costrurre dei villini collegati da un viale privato, tracciato nella stessa direzione del primitivo pergolato centrale, non distruggerà interamente il ricordo di un possesso, che si collega ai casi della vita di Leonardo: anzi, una parte della vigna verrà conservata, grazie alla circostanza di potere essere incorporata nell’attiguo giardino della casa Della Tela, che il senatore Ettore Conti sta riadattando come abitazione personale, rispettandovi ed integrando le memorie artistiche risalenti alla famiglia particolarmente devota alla casa Sforzesca, che in una delle sue sale volle effigiati, dal pennello del Luini, i ritratti dei personaggi di questa famiglia, dall’Attendolo, a Francesco ii. Così, in un angolo ancora tranquillo di Milano, dominato dalla cupola di S. Maria delle Grazie, che sembra richiamare incessantemente la gloria del Cenacolo Vinciano, aleggerà ancora lo spirito di Leonardo e di colui che seppe esserne lo spirituale allievo, col riflesso della grazia spirante dalle sue figure di vergini, di angeli e di santi.

ELENCO DEI DOCUMENTI
RIGUARDANTI LE VICENDE DELLA VIGNA DI LEONARDO
1498 - 1534

I - 1498, 2 ottobre.
Instrumento rogato dal notajo Antonio Bombelli, riguardante una permuta di terreno stipulata fra gli agenti della Camera ducale, ed Elisabetta Trovamali, vedova Crotta.
Il terreno ceduto dalla vedova Crotta, non precisato come estensione, è indicato come «petiam unam terre orti seu zardini, sitam et iacentem in porta Vercellina Mediolani, par. Suncti Martini ad corpus foris». Aveva le seguenti coerenze:
- ab una parte prefati dom. Ducis (Lodovico il Moro),
- ab alia Stangelini canetarij et sotiorum, mediante Redefosso,
- ab alia illorum de Vicomercato, mediante accessio,
- ab alia magistri Leonardi pictoris.
Il terreno dato in cambio dal Duca, nella zona della ex-vigna di S. Vittore, misurante «perticas sex usque in septem, inter monasterium Sancti Hieronymi et Leonardum Vincij pictorem» aveva le seguenti coerenze:
- ab una parte monasterij, seu bona data per prelibatum principem monasterio sancti Hieronymi,
- ab alia magistri Leonardi, seu bona data per prelibatum principem dicto magistro Leonardo Vincio pictori,
- ab alia prefati principis.
Il documento non contiene accenno ad altre circostante di fatto, se non che la vedova Crolla aveva facoltà di tagliare le piantagioni, e demolire le costruzioni esistenti sul terreno dato a lei in cambio.
Di questo documento, trascritto per la prima volta dal Prof. A. Caimi nel 1875
(Arch. Stor. Lomb., anno 11, p. 124) da una copia nell’Archivio Stampa-Soncino,
esiste l’originale nell’Archivio di Stato di Milano: Rogiti camerali - Notaio Bombelli, cartella 105.


II - 1499, 26 aprile.
Lettere-patenti di Lodovico il Moro, confermanti la donazione fatta a Leonardo da Vinci di sedici pertiche della ex-vigna di S. Vittore, ceduta dal Monastero al Duca con atto 8 agosto 1498.
Il documento premette l’elogio del Duca per Leonardo, pittore non inferiore, a giudizio suo e dei competenti, a qualsiasi antico pittore: ricorda le svariate e mirabili opere da lui eseguite per il Duca, il quale intende colla donazione di rinserrare i vincoli che già legano l’Artista a Milano e alla casa sforzesca: si riserva di precisare in sèguito i confini delle «perticas numero sexdecim soli seu fundi eius vinee quam ab abbatia seu monasterio Santi Victoris in suburnano porte Vercelline huius inclite urbis nostre Mediolani, canonica et apostolica dispensatione intercedente, proxime acquisivimus, ut in eo spatio soli pro eius arbitrio edificare colere hortos et quidquid ei vel posteris eius, vel quibus dederit ut supra, libuerit facere et disponere possit, quibus perticis sexdecim terre ita concessis terminos et circonstancias coherentes, alteris nostris aperte declarabimus».
Il documento è all’Arch. di Stato di Milano - Registro Panigarola O, fol. 182.


III - 1499, 12 luglio.
Lettere patenti di Lodovico il Moro, confermanti la donazione alle monache dette di S. Lazzaro, di una porzione della ex-vigna di S. Vittore, dell’estensione di 25 pertiche.
Premesse le attestazioni della ducale devozione verso i frati predicatori dell’osservanza, cui rispondeva il proposito di fondare un monastero per le suore di S. Caterina da Siena, pure dell’osservanza, provvisoriamente dimoranti nel già ospedale del lebbrosi a S. Lazzaro, in porta Romana, Lodovico il Moro dona alle monache, accettanti a mezzo di frate Vincenzo da Castelnuovo, priore del convento delle Grazie, il terreno avente per confini:
- la via lungo il fossato della città, o naviglio
- parte della vigna «quam donavimus Leonardo florentino pictori, versus Jesuatos».
Arch. Stato di Milano - Fondo di Religione:
Monastero di S. Lazzaro, busta 157.


IV - 1501, 39 luglio.
Instumento fatto in Firenze, col quale Leonardo pittore e scultore dichiara di avere ricevuto da Pietro di messer Giovanni da Oreno (Oppreno) milanese, il canone di affitto di un terreno posto in Milano, a Porta Vercellina.
Questa citazione venne fatta dal Milanesi, nella sua edizione delle Vite del Vasari, vol. iv, pag. 89.


V - 1506-07.
Deposizioni di testi, a favore della rivendicazione del terreno donato alle monache di S. Lazzaro.
io teste: «Magister Ambrosius de castello filius quondam dom. Gotardi p. Vercelline par. S. Martini ad corpus, extra muros Mediol.» - «[Ego] eram et sum vicinus strata mediante petie terre vinee post ista capitula descripte, site extra portam Vercellinam, inter viam que est penes fossatum civitatis mediol. cui coheret:
- ab una parte fossatum predictum, mediante strata publica,
- ab alia strata nova seu monasterium S. Victoris foris mediol.
- ab alia Leonardi florentini pictoris,
- ab alia Donati de Prata».
iio teste: «Christophorus de Rande filius qd. Joannis» - «que petia terre vinee coheret:
- ab una parte fossatum civitatis mediol. mediante strata publica,
- ab alia via nova seu burgus novus,
- ab alia Leonardi pictoris,
- ab alia Donati de Prata».
vo teste: «Mag.r Jacobus de Marinonibus qd. Joannis » - « que petie terre coheret:
- ab una parte strata contigua fossato civitatis mediol.
- ab alia Leonardi florentini pictoris et tenetur per, ut dicitur, Leoninum Billiam,
- ab alia Donati de Prata».
Arch. Stato di Milano - Fondo di Religione:
Monastero di S. Lazzaro, busta 157.


VI – 1507, 17 marzo.
Lettera di Luigi xii ai Maestri delle Entrate straordinarie dello Stato di Milano.
Riferisce come il protonotario perpetuo, priore di S. Vittore, e il priore di S. Maria delle Grazie «atque nonnulli cives Mediolanenses habentes predia et domus in burgo porte Vercelline, nobis significarunt quod per Ludovicum Sfortiam, dum statum Mediolanu teneret, ordinatum fuit ut fieret quedam strata per quam ab utraque ipsarum ecclesiarum iri posset, tum ad commodum itinerantium, tum ad commodum suburbij ipsius civitatis: que strata hactenus locum habere non potuit oh quandam domunqcuiam per quam ipsa ingressum habere opportet, cum extendatur ad accessum vie publice ante ecclesiam predictam Gratiarum. Que quidem domuncula si converti debet ad predictum usum, necesse est ematur ab habentibus ius in ea, cuius preclum, juxta extimationem factam per publicum architectum, assendit ad summam librarum ducentum octuaginta imper. vel circa». Aggiunge la notizia «juxta predictam viam seu stratam construendam adesse quoddam spacium terre ex vinea que per ipsum Ludovicum Sfortiam empta fuit, quod regie camere nostre spectat et nomine fictj libellarij tenetur ab ipsa camera per Innocentiam de Corbeta cam prestatione annue solutionis librarum novem imp.».
Arch. Stato di Milano - Fondo di Religione:
Monastero S. M. delle Grazie, cart. 547.


VII - 1507, 20 aprile.
Lettera del Luogotenente generale di Luigi xii, Carlo d’Amboise, ai Maestri delle Entrate straordinarie.
«Dilecti nostri. Tocando il caso de mag.ro Lionardo fiorentino ve dicemo et commettemo che lo remettiate nel primo stato, come esso era, de la vigna sua inante che la gli fusse tolta per la Camera, et non gli fareti chel ne habia a patire spesa pur de uno soldo».
Lettera allegata alla seguente deliberazione N. VIII.


VIII - 1507, 27 aprile.
Provvisione presa dai Maestri delle Entrate Straordinarie, in esecuzione del decreto 20 aprile.
«... reponimus et remittimus, repositumque et remissum declaramus mag. Leonardum de Guintijs florentinum in et ad actualem possessionem et tenutam seu quasi petie illius vinee site extra P. Vercellinam mediol. in suburbijs apud fossum urbis, nuncupate vinee S.i Victoris, de qua ipse mag. Leonardus donationem habuerat ab. Ill.mo Ludovico Sfortia, tunc ducatum Mediolani tenente, et de qua ipse Leonardus fuerat privatus seu spoliatus, et data fuerat insolutum magnifico d. Leonino Bilie, college nostro, pro parte solutionis donationis sue regie ...».
La deliberazione minaccia la pena di 1000 ducati a coloro che avessero molestato Leonardo, o perturbato ed intralciato il libero possesso della vigna.
Arch. di Stato, Milano - Registro Panigarola O, pag. 183.


IX - 1510, 6 marzo.
Convenzione fra il Monastero di S. Gerolamo e Pietro da Oppreno, in nome proprio, ed a nome e nell’interesse di Leonardo da Vinci, e di Gio. Giacomo da Oppreno.
Il rev.do frate Gerolamo Bugati, priore del monastero di S. Gerolamo, «ordinis Jesuatorum» in nome proprio ed anche come procuratore del monastero, da una parte: e dall’altra «dom. Petrus de Oppreno, filius qd. Dom. Joannis, p. Vercelline par. S.i Martini ad corpus foris mediol. nomine proprio, et item nomine et vice et ad partem et utilitatem dom. mag. Leonardi de Vinziis de Florentia, et Jo. Jacobi dictum Salibeni de Oppreno filii sui» convengono «quod respectu muri noviter constructi et fabricati nomine et ad instantiam suprascriptorum patris et filij de Oppreno et utriusque seu alterius corum contigui, seu propinqui cuidam cessie constructe et facte nomine et ad instantiam prefatorum dom. prioris et fratrum ....sit utrique parti pro medietate, videlicet medietas dictorum dominorum prioris et fratrum, et altera medietas dictorum patris et filij de Oppreno, et hoc tantum quantum ascendit in altitudine brachiorum novem a terra supra et non ultra »: la quale condizione di muro comune rimane concordata anche nel caso che in futuro le parti contraenti, od altre persone intendessero di erigere un muro « de lapidibus et cemento dividentem ortum prioris et fratrum, ab orto patris et filij de Oppreno, seu dicti mag. Leonardi, eundo per rectam lineam a cessia dividente bona dictorum contrahentium tantum quantum durant eorum bona, in altitudine dictorum brachiorem novem a terra supra ». Nel muro già costrutto, o da costrurre in avvenire, si dovevano praticare d’ambo le parti « fenestras polatinas ad effectum ut inspici et comprendi possit in futurum quod sit comune ipsorum ambarum partium usque ad dictam altitudinem»: mentre se gli Oppreno avessero sopralzato detto muro, la parte sovrastante le braccia nove sarebbe stata riconosciuta tutta di loro proprietà.
Archivio Notarile, Milano - Notajo Battista De Capitani.


X - 1513, 14 settembre.
Affitto della vigna di Leonardo, riservati alcuni locali di abitazione per la madre di Salaj.
«Dominus Salay [nus] de Caprotis filius qd. dom. Petri p. horientalis, par. S.i Babile foris mediol.» riconosce dom. Antonium de Medda come affittuario «nominative de sedimine uno cum zardino et vinea una simul se tenentia, jacentia in p. vercelline mediol. par. S. Martini ad corpus foris med. cui coheret:
- ab una parte strata
- ab alia fratrum sancti Jeronimi
- ab alia Jo. Petri Franzoxini
- et ab alia mag.ri dom. Jeronimi Vicecomitis seu habentium causam ab eo, et que bona sunt in summa pertice xvj vel decemseptem, prout in facto contineri reperiatur.
Et hoc salvis semper et reservatis, videlicet a sbara a mann dextra ad intrytum porte deversus monasterium sancti Jeronimi sequendo usque ad coquinam, et etiam reservatis ipsa coquina et una camera supra dictam coquinam pro uxu matris dicti locatoris, et que reservata non dantur ad fictum nec comprehendutur in presenti instrumento».
L’affitto decorrente dal giorno di S. Michele (29 sett.) seguente, per la durata di tre anni, rinnovabile a beneplacito dei contraenti, era della somma annua di lire 100 imp., da pagare anticipatamente per il primo anno, e successivamente in due rate, alle ricorrenze di Pasqua e di S. Michele.
Fra i patti vi era quello che «bona reservata non possint dari alicui deredente dicte matri, sed ipse locator possit eis uti pro uso proprio».
Il Salaj dichiara di avere ricevuto le lire 100, corrispondenti all’affitto sino al S. Michele del 1514.
Archivio Notarile, Milano - Notajo Sovico Simone.
Questo interessante documento mi venne gentilmente segnalato
dal sig. Domenico Bonomini, archivista.


XI - 1519, 23 aprile.
Dal Testamento di Leonardo da Vinci.
«... Item epso Testatore dona et concede a sempre mai perpetuamente a Battista de Vilanis suo servitore la metà zoè medietà de uno iardino che ha fora a le mura de Milano, et l’altra metà de epso iardino ad Salay suo servitore, nel qual iardino il prefato Salay ha edificata et constructa una casa, la qual sarà e resterà similmente a sempremai perpetudine al dicto Salay, soi heredi et successorj, et ciò in remuneratione di boni et grati servitii, che dicti de Vilanis et Salay dicti suoi servitori, lui hanno facto de qui inanzi».
Dalla edizione del Testamento, nel Volume Classici Italiani 1804,
contenente le Notizie su Leonardodi Carlo Amoretti: l’originale o copia,
da cui venne ricavata la trascrizione Amoretti, è risultato irreperibile.


XII - 1519, 29 agosto.
Procura rilasciata da G. B. Villani a Girolamo Melzi, per la divisione della vigna con Salaj, ed eventuale vendita della metà spettante al Villani.
«... Nel 1519 li 29 agosto, in Amboysa, il predetto Batista de’ Vilanis, al presente servitore del nobil homo m.r Francesco da Melzo gentilhomo de Milano, pensionario del Re nostro Signore nomina e constituisce etc. il nobilhomo et Mag. M. Hieronymo de Melzo gentilhomo residente in Milano, suo certo nuntio e gli dà piena autorità et mandamento de pigliare possessione de la suddetta medietà del jardino lasciatogli da Leonardo da Vince, et di poter dividere et partire la detta medietà con m. Salay ratificando la divisione che sarà da lui fatta etc.: anzi gli dà la facoltà di poterla vendere, alienare etc. a quel prezzo a lui parerà etc. ratificando etc. e dando qualunque facoltà e pegno».
In Notizie su Leonardo, di C. Amoretti da note dell’abate Oltrocchi.


XIII - 2 maggio 1524.
Instrumento di pagamento di un credito lasciato da dom. Salay de Caprotis de Opreno, a favore delle sorelle Angelina e Lorenzina.
«M.r Thomas de Mapello filius qd. dom. Johannis p. romane par. S. Satiri mediol. uti procurator specialis etc. dominarum Angeline et Laurentine uxoris suc. sororum de Caprotis de Opreno, et heredes quondam dom. Salay de Caprotis de Opreno earum fratris» confessa di aver ricevuto da «dom. Petromartire de Aresio filio qd. dom. Andree» lire 168 e soldi 12 imp. a parziale restituzione di 400 grossoni di soldi 4, dati il 13 aprile 1518 a Pietromartire dal « quondam domino Salay». Come risulta da documenti pubblicati da Gerolamo Calvi - nei suoi Contributi alla vita di Leonardo, in Arch. Stor. Lomb. anno 1916 - il Salay morì (ex sclopeto nature concessirit) fra il settembre 1513 e il marzo 1514.
Archivio Notarile, Milano - Notajo Pietro Martire Pusterla.


XIV - 1534, 30 marzo.
Instrumento di vendita della metà vigna di G. B. Villani, al Monastero di S. Gerolamo.
«Dominus Baptista de Villanis filius qd. dom. Bonifatii p. horientalis par. S.i Stephani in brolio intus Mediol. legatarius testamentarius quondam domini Leonardi de Guinziis florentini pictoris, respectu honorum de quibus infra alienandis, ut constat instrumento testamenti superinde confecto rogato, ut dicitur, per dom. Joannem Borreum notarium galicum de anno 1519 preterito .... fecit venditionem venerabili dom. fratri Marliano de Magiolinis frati professo monasterij S.i Hieronimi extra muros, ordinis Jesuatorum mediol. Ibi presenti et stippulanti suo nomine ac nomine etc. reverendi et venerabilis dom. prioris etc.
Nominative de medietate pro diviso viridarij seu zardini unius quod esse dicitur perticarum sedecim vel circa, siti in p. vercellina par. S.i Martini ad corpus foris mediol. cui coheret:
- ab una parte dicti monasterij,
- ab alia Laurenzine de Caprotis lagatarie suprascripti quondam dom. magistri Leonardi,
- ab alia illorum de Besutio,
- et ab alia magistri Ambrosii de Sexto spadarii, sive qui exercet artem ensium».
Il prezzo venne fissato in lire 35 imp. «pro singula pertica, una cum altera computata» cosicchè la vendita della metà vigna di Leonardo, nel 1534, fruttò lire imp. 280 circa.
Archivio Notarile, Milano - Notajo Cesare Cattaneo.





[1] Gerolamo Biscaro, La commissione della «Vergine delle Roccie» - in Arch. Stor. Lombardo, anno 1910, fasc. xxv.
[2] Gerolamo Biscaro, La vigna di Leonardo da Vinci, fuori di porta Vercellina - In Arch. Stor. Lombardo, anno 1909, pag. 365-396.
[3] Era in origine il fossato di difesa che circondava Milano, ad una distanza media di 700 metri dal circuito delle mura di Azone Visconti.
[4] Per risolvere questa inverosimiglianza, dovuta essenzialmente al volere ammettere a priori che la vigna di Leonardo dovesse avere la fronte di accesso sulla strada lungo il Naviglio, il D.r Biscaro formulò la ipotesi che Lodovico avesse assegnato a Leonardo «oltre ad un pezzo di vigna prospettante la strada del fossato, sufficiente per costruirvi la sua casa, un secondo appezzamento, compreso nel tratto dalla via di S. Giovanni alla Vepra, oltre il nuovo borgo di S. Vittore»; ma le risultanze odierne dei documenti escludono questa ipotesi, che lo stesso D.r Biscaro formulò solo come tentativo per risolvere la inverosimiglianza della conformazione del terreno di Leonardo, quando lo si voglia ammettere come confinante, ad un tempo, col Naviglio e colle proprietà adiacenti al Redefosso.
[5] Il terreno posseduto dal monastero detto di S. Vittore, che si era aggregato all’antica basilica Porziana, doveva in origine arrivare sino alla strada radiale da Porta Vercellina: naturalmente, collo sviluppo continuo della città nella zona fra il circuito del Naviglio e quello del Redefosso, la porzione di quel possesso confinante colla strada di Porta Vercellina, risultando sempre più adatta per case di abitazioni e negozi, venne dal monastero divisa in lotti fronteggianti la strada, e concessi a livello perpetuo: la linea interna di queste cessioni dovette seguire l’andamento della strada, ad una distanza media da questa di m. 70 circa, che consentiva ad ogni lotto di fabbrica di avere la corrispondente zona da sistemare ad orto.
[6] È la pianta catastale di Milano - disegnata a mano dal geometra Giovanni Filippini, ingegnere della serenissima Repubblica di Venezia l’anno mdccxxii - donata al Comune nel 1901. La pianta Dal Re, del 1734 non offre eguale esattezza, ma è interessante per la indicazione della zona a giardini ed orti. Vedasi a pagina seguente.
[7] La chiesa originariamente annessa al monastero di S. Gerolamo dei Gesuiti, eretta nella seconda metà del sec. xv, e trasformata radicalmente sulla fine del secolo successivo, doveva contenere opere artistiche interessanti, conte lasciava supporre la porta laterale di accesso alla chiesa dal borgo delle Grazie, che a nostra memoria si vedeva al n. 37 del Corso Magenta (vedi piante a pag. 10 e 12) donata al Comune, nell’occasione della riforma in quella casa: un piccolo frammento di scoltura della scuola dei Mantegazza, si rinvenne nella stessa circostanza. Anche la chiesa riformata nel 1589, conteneva decorazioni pittoriche, le quali determinarono la iscrizione di quello stabile comunale nell’elenco degli edifici soggetti a sorveglianza per la tutela delle memorie storiche ed artistiche. Ciò non impedì, che per un deplorevole sentimento di indipendenza da ogni tutela, di cui è invasa l’Amministrazione comunale, qualunque sia il partito imperante a Palazzo Marino, l’ufficio investito del còmpito di tutela siasi trovato a dovere constatare la chiesa di S. Gerolamo rasa al suolo, senza che tale provvedimento fosse stato notificato, almeno per dar tempo al rilievo ed eventuale salvataggio di qualche memoria d’arte.
La indifferenza, sorretta dalla presunzione, determina spesso un erroneo concetto di autorità, pronto a frustrare qualsiasi proposito il quale non miri al materiale ed immediato interesse pubblico.
L’anzidetta porta del sec. xv si trova oggi nelle sale terrene del Castello Sforzesco, ed è un esempio interessante della ornamentazione figurata milanese di quell’epoca: degna della scuola del Mantegazza, potrebbe essere opera di quel «Paulus de la Porta f. q. d. Petri par. S. Protasii in campo» che nel 1495 allogava l’opera sua al monastero di S. Gerolamo, per un anno «in arte tagliaprede in figuris et in allisquibus fuerit necesse» (Biscaro, a. s. l., p. 379).
[8] La menzione della frase «mi trovo lire 218, a dì primo aprile 1489» ha indotto a ravvisarvi una «melanconica annotazione» per confermare la cervellotica tesi della miseria, in cui Leonardo avrebbe lungamente vissuto a Milano. Nel fatto, quella frase si legge su di un foglio del Cod. Atl. (384, r) cosparso di conteggi relativi ai denari che Leonardo teneva nel suo studio, parte in vari ripostigli, parte della sua borsa: e l’accennata somma non è che una porzione del peculio, che Leonardo teneva a quell’epoca presso di sè.
[9] Le buone condizioni della famiglia del Salaj risultano da vari atti notarili, menzionanti affitti ed acquisti di case, stipulati dal nonno Giov. Batt. da Oppreno: nel settembre 1496 «dominus Baptista de Oppreno filius q. d. d. Andree» abitante in Porta Vercellina, parrocchia di S. Naborre, rilascia ricevuta del pagamento di un canone livellario: nel gennajo dello stesso anno, riceve il pagamento dell’affitto «certorum bonorum altorum in porta vercelina par S. Naboris et Felicis»: nel maggio dell’anno seguente acquista una casa nella stessa parrocchia, per il prezzo di lire 500 imp. Tutto ciò, oltre al titolo di dominus, concorre ad accertare le buone condizioni della famiglia del Salaj.
[10] Merita di essere rilevato il fatto che il nome era scritto «Salaynus» e il nus venne cancellato: il che è un’altra prova della incertezza grafica che si accompagnò al sopranome dato al figlio di «Pietro de Caprotis de Oppreno», il quale nel 1513, essendo da ormai ventitrè anni al fianco di Leonardo, mostrò di preferire quel nome di Salaj, che il maestro aveva da venti anni adottato nei suoi mss.
[11] Documento pubblicato dal Calvi nell’articolo della Rassegna d’Arte luglio-agosto 1919, dal titolo: Il vero nome di un allievo di Leonardo: Gian Giacomo Caprotti detto «Salaj».
Il documento xiii, sebbene non abbia, a stretto rigore, relazione diretta colla vigna di Leonardo, è un elemento essenziale per le vicende del possesso di Leonardo, non solo per essere il documento che contribuì ad accertare nel «Giov. Giacomo» venuto in servizio di Leonardo nel 1490, il figlio di Pietro da Oppreno, affittuario nel 1499 della vigna, ma anche per la attestazione che le sorelle Lorenzina ed Angelina ereditarono da lui: il che spiega la coerenza della proprietà di Lorenzina Caprotti, colla parte di vigna posseduta da G. B. Villani.
La identificazione del Salaj, basata sul documento xiii, venne da me esposta nel Marzocco 7 sett. 1919, collo scritto « L’enigma di Andrea Salaj risolto ».
[12] È singolare la menzione di Lorenzina de Caprotti come «legataria suprascripti quondam dom. magistri Leonardi» anzichè come erede del fratello Salaj, al quale direttamente Leonardo aveva lasciato la metà della vigna. A questo proposito, ricordando come Leonardo abbia nel 1508 prestati 13 scudi a Salaj «per compiere la dote alla sorella» si può pensare che questa fosse la Lorenzina, sposata a mag.o Tomaso Mapello, che Leonardo ebbe agio di conoscere fra il 1508 e il 1513 in Milano; l’interessamento dimostrato nel costituirgli la dote, potrebbe essere messo in rapporto colla donazione della vigna al Salaj, e colla successiva menzione di Lorenzina come legataria di Leonardo.
[13] L’atto di cessione di parte della vigna di S. Vittore, venne celebrato solo il 9 agosto 1498, col dare in cambio di quella zona ceduta, pertiche 814 di terreno, in parte irriguo, situato nel territorio di Cusago, del reddito annuo di l. 564, s. 17, d. 9. Vedasi G. Biscaro, op. cit., pag. 373.
[14] Uno dei testimoni citati nel 1506 per la rivendicazione del terreno donato alle monache di S. Lazzaro, ebbe a deporre di avere più volte raccolto la notizia di quella donazione, mentre lavorava al convento delle Grazie «ad construendum sacristiam et certa alla hedificia in dicto monasterio S. Marie gratiarum»: fra le persone al corrente della donazione, perchè frequentavano quei lavori, egli ricordava in particolar modo «Leonardo florentino pictore».


Trascrizione curata da Giancarlo Mauri

L'intera monografia si può leggere e/o scaricare qui:
https://independent.academia.edu/GiancarloMauri




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