mercoledì 17 settembre 2014

1896 - UZIELLI, Archivio della famiglia da Vinci



Gustavo Uzielli. Archivio della famiglia da Vinci. [in] Ricerche intorno a Leonardo da Vinci. Serie prima. Volume primo. Con una litografia e due acqueforti. Edizione seconda corretta e molto ampliata. Torino. Ermanno Loescher, 1896; pp. 3-30.

Leonardo fa figliuolo di Ser Piero da Vinci: così dice il Vasari nella vita di quel pittore, senza indicare l’anno della sua nascita, che, con vaghe induzioni, vollero fissare il Mariette nel 1443, il De Pagave nel 1444 ed il D’Argenville nel 1455, altri in epoche posteriori.
Il primo che, a quanto sappiamo, ha cercato di aver notizie esatte sopra Leonardo, traendole dai suoi manoscritti, è Lodovico Antonio David, pittore mediocre del principio del secolo passato, che scrisse una vita inedita del Correggio, e fece studi sopra altri pittori illustri, tra i quali Leonardo. Da lui probabilmente tolsero notizie il Bottari e il Mariette, e quest’ultimo se ne servì per il cenno che scrisse sopra la vita e le opere di Leonardo stesso. Alla gelosia con cui il David teneva nascosti i suoi studi deve forse attribuirsi l’oscurità in cui sono rimasti; benchè in essi, a quanto rilevasi dalle lettere scritte al Muratori, sembri ponesse molta cura. Credo opportuno riprodurre una di queste lettere,[1] perchè può tornar utile a chi volesse accingersi allo studio dei manoscritti di Leonardo, facendo essa conoscere le difficoltà che possono incontrarsi nella loro interpretazione.
Solamente nel 1746[2] Giovanni Battista Dei, antiquario del Granduca di Toscana, occupandosi di fare l’albero della Famiglia da Vinci, ebbe luogo di esaminare le memorie autentiche che allora essa conservava e di far ricerche nel pubblico Archivio di Firenze.[3]
Da questo più specialmente trasse una portata del catasto del 1469-70 d’onde rilevavasi che Leonardo era nato nel 1452 ed era figlio naturale di Ser Piero da Vinci. Un brano di questa portata (che venne poi pubblicata più estesamente, toltavi la descrizione dei beni, dal Gaye),[4] fu dal Dei comunicata al dottor Anton Francesco Durazzini, che la inserì nella vita di Leonardo da Vinci da lui scritta.[5]
Oltre a queste notizie sulla nascita di Leonardo, il Durazzini nel suo lavoro pubblicò una lettera di Francesco Melzi ai fratelli di Leonardo stesso, nella quale veniva determinata l’epoca della morte di quel pittore avvenuta il 2 maggio 1519, facendo inoltre conoscere che, insieme colla lettera, trovavasi nell’Archivio dei Vinci il testamento di Leonardo fatto nel Castello del Cloux, presso Amboise, il 23 aprile 1519, e la procura fatta da Battista De Vilanis, servitore di Leonardo, a Girolamo Melzi.[6]
Questi documenti il Durazzini li ebbe dal Dei; e infatti fra i pochi manoscritti di quest’ultimo, che ancora conservasi nel pubblico Archivio fiorentino, trovasi copia della lettera del Melzi. Duole assai che la dispersione delle carte del Dei, di cui poche furono acquistate dallo Stato, altre dal conte Luigi Passerini, e la massima parte vendute a peso, abbia reso vane molte ricerche fatte dal Dei stesso. Ma il poco che rimane può essere ancora utilmente consultato; come, a modo di esempio, una lettera in data del 14 novembre 1779 scritta al Dei da Anton Giuseppe da Vinci, allora pretore a Vicchio, e congiunto alla famiglia di Leonardo per esser discendente da Domenico, uno dei nove fratelli di esso, e che probabilmente è una stessa persona con quel cancelliere Vinci «stimabilissima persona» scrive il Pananti, «ma sì riverenzioso che sembrava un maestro di cerimonie».[7]
Da questa lettera si ricava che le ricerche intorno alla famiglia Vinci e alla sua genealogia intraprese dal Dei, eran fatte dietro richiesta del maresciallo conte Rezzonico, il noto commentatore delle Opere di Plinio, e questo lo conferma il seguente appunto del Bandini, allora bibliotecario della Laurenziana, il quale così scrive: «Il Sig. Conte Rezzonico prega il Sig. Gio. Batta. Dei di dirgli in qual anno morisse Francesco zio di Leonardo da Vinci che si trova matricolato in Firenze all’Arte della seta nel 1464. Come pure se vi sono altre notizie di più della sua dimora in Firenze, e di sè e suoi fratelli per l’eredità dello zio e paterna. Potrà soggiungere la notizia in Firenze e rimettere il tutto al canonico Bandini suo servitore, che lo farà riconoscere d’ogni suo incomodo. Dalla real biblioteca Laurenziana 7 agosto 1780.[8]
Le notizie che il Rezzonico chiedeva erano destinate ad illustrare uno scritto di mano di Paolo Giovio, a lui donato dalla famiglia di questo, colla quale aveva parentela; era un’opera contenente le vite di alcuni principali artisti del secolo xv, fra le quali trovavasi quella di Leonardo da Vinci.[9] E non solo al Dei si rivolse il Rezzonico per avere notizie di Leonardo, ma ancora a Baldassare Oltrocchi, allora bibliotecario dell’Ambrosiana. Il Rezzonico chiedeva notizie all’Oltrocchi segnatamente intorno alla venuta di Leonardo in Milano, alla dimora che vi fece, ai tanti suoi nuovi ritrovati, alle opere da lui ivi meditate e intraprese, e ad altre sue vicende. Racconta l’Oltrocchi, ormai avanzato in età, che egli stesso lesse accuratamente collo specchio,[10] provando incredibile tedio e fatica, tutti i manoscritti di Leonardo che si trovavano all’Ambrosiana, ne trasse appunti su quanto di notevole potè leggervi, e ne inviò copia al conte Rezzonico.[11] Morto L’Oltrocchi nel 1797, i manoscritti relativi a queste ricerche passarono in mano del Cighera suo biografo. Il conte Rezzonico intanto morì nel 1785, senza aver nulla pubblicato, lasciando il manoscritto della vita di Leonardo, fatto dal Giovio e da lui annotato, al Marco Cigalini suo nipote. Questi a sua volta ebbe intenzione di darlo alle stampe, ma non effettuò il suo progetto, nè mi è noto ove sia ora quel manoscritto. Ma però il Tiraboschi aveva già riprodotto nella sua Storia letteraria il manoscritto latino di Paolo Giovio, che a lui fu inviato da G. B. Giovio, il quale ignorava che il Rezzonico, suo cognato, avesse intenzione di pubblicarlo, ampliandolo grandemente, nelle due lingue latina e italiana;[12] questo poi fece nel 1810 Giuseppe Bossi pubbli­cando nella sua ben nota opera sul Cenacolo[13] la vita del Giovio colla traduzione del Rezzonico, ambedue a lui date da Marco Cigalini.
Mentre questi faceva ricerche per pubblicare l’opera inedita del Giovio, altre ne faceva Venanzio De Pagave,[14] consigliere del Governo austriaco in Lombardia, uomo eruditissimo e che si era prefisso, come egli stesso scrive, «d’illustrare le vite di due degli nomini più grandi che abbia avuto l’Italia sul finire del 1500 e che hanno fatto per molti anni la loro dimora in Milano, stipendiati e protetti da Lodovico il Moro» cioè Bramante da Urbino e Leonardo da Vinci.[15]
Egli tenne perciò estesissima corrispondenza tanto in Italia che all’estero; ma colla speranza di trovar maggiori notizie e documenti ignorati, non pubblicò mai nulla. Benchè privi di critica accurata, i manoscritti del De Pagave sono pieni di notizie interessantissime; e a lui si deve se è pervenuto fino a noi il testamento fatto da Leonardo al Castello del Cloux e che gli fu dato di rintracciare attraverso varie peripezie singolari, come dirò in breve.
Sembra che il De Pagave ignorasse, almeno fino al 1775, la pubblicazione fatta nel 1771 dal Durazzini della lettera del Melzi ai fratelli di Leonardo, lettera importante come si è visto e che determinava il giorno della sua morte.
Credevasi allora, stando alla relazione del Vasari e ad altre posteriori, che Leonardo fosse spirato fra le braccia di Francesco i a Fontainebleau. Il De Pagave dette incarico a Carlo Goldoni di far ricerche in quel luogo, il che questi compì con la massima cura nel dicembre del 1775, ma non trovò traccia alcuna nè di Leonardo nè dei suoi quadri, e la lettera ch’egli scrive al De Pagave su questo proposito, dimostra chiaramente l’inutilità di nuove indagini.[16]
Poco dopo il De Pagave ebbe probabilmente notizie delle ricerche fatte dal Dei; e per chiarire quello che poteva riferirsi a tale argomento, cercò che fossero a lui direttamente comunicati i documenti più importanti dell’Archivio della famiglia Vinci, per lo che ne scrisse al conte Bindo Nero Maria Peruzzi in Firenze. Questi si rivolse ad Anton Giuseppe da Vinci sopra ricordato e allora pretore a Barberino di Mugello. Anton Giuseppe ignorava che tali documenti esistessero; ma andato a Vinci, sua patria, ne tenne parola con un suo parente, da cui seppe che quei manoscritti erano stati consegnati parecchi anni addietro a certo prete Conti, rettore del seminario di Pistoia, che voleva scrivere l’elogio di Leonardo; e che, morto il Conti, un tal Cavaliere erane divenuto possessore. Anton Giuseppe da Vinci, per mezzo del suo parente potè farsi rendere dal detto Cavaliere quei manoscritti, ove trovò il testamento di Leonardo da Vinci scritto in carattere antico. Il Peruzzi lo copiò e l’inviò al De Pagave il 15 maggio 1779.[17]
Il De Pagave aveva inoltre pregato il Peruzzi di ricercare nell’Archivio dei Vinci lettere scritte dal Melzi che supponeva dovervisi trovare, pro­babilmente per aver vista di già riprodotta dal Durazzini quella di cui ho di sopra fatto menzione. Forse il De Pagave aveva ancora tale desiderio per aver letto ciò che scriveva Luigi Crespi a Monsignor Luigi Bottari nel 1757, intorno a lettere di Leonardo da Vinci, le quali dovevano trovarsi a Bologna, ma che il Crespi potè sapere che più non vi erano, senza che di esse ne fosse rimasta alcuna traccia.[18]
Il Peruzzi quindi chiese ad Anton Giuseppe da Vinci lettere di Leonardo, o a lui relative, che si dovevano trovare nell’Archivio della sua famiglia. Il Vinci dichiarò non esservene alcuna. Anche la lettera scritta dal Melzi ai fratelli di Leonardo, di cui ho parlato al principio, più non esisteva. Eppure il Dei l’aveva vista avanti il 1771 quando il Durazzini stampò la vita di Leonardo, come da essa può rilevarsi. Siccome d’altra parte, appunto nello stesso anno, fra i fogli del Dei trovasi una copia della lettera del Melzi e una lettera di Anton Giuseppe da Vinci, in data anche essa del 1779, che fa supporre una corrispondenza antecedente, è da credersi che in questi anni, cioè fra il 1771 e il 1779, Anton Giuseppe da Vinci si disfacesse dei documenti in discorso. Non sarei alieno dal credere che andassero in mano del Dei o del conte Rezzonico, di cui Anton Giu­seppe da Vinci cercava la protezione in favore di un suo figlio, chiamato anch’esso Leonardo, e dal padre creduto un genio «perchè catechizzato dal Maestro di Barberino di Mugello per un ingegno particolare e d’un talento non ordinario» e di cui io soltanto so che morì nel 1793 in età di 32 anni.[19]
Tanto il Rezzonico, quanto l’Oltrocchi e il De Pagave morirono, come si è visto, il primo nel 1785, il secondo nel 1797 e l’ultimo intorno a quel tempo, senza che nulla fosse pubblicato delle loro ricerche. Carlo Amoretti allora imprese un lavoro storico sopra Leonardo da Vinci, per il quale attinse larghi aiuti dai manoscritti dell’Oltrocchi, d’onde trasse la lettera del Melzi[20] e la procura del De Vilanis;[21] da quelli del De Pagave,[22] ove trovò, fra l’altre cose, il testamento di Leonardo; e dai manoscritti autografi di Leonardo stesso, che potè esaminare all’Ambrosiana. I manoscritti dell’Oltrocchi li aveva avuti dal Cighera, e quelli del De Pagave dal figlio di lui.
«Questa raccolta» così poi scrive il Predari[23] parlando di quella del De Pagave in un coi manoscritti di Dionesano Vincenzo, di C. Quattrocase, dell’abate Albuzzi, Carlo Bianconi ed altri venne acquistata dal pittore Giuseppe Bossi, il quale applicava alla storia dei più distinti artisti Lombardi, a supplemento delle lacune del Vasari, e della quale molto tempo innanzi morire area mostrato a’ suoi amici il primo volarne già pronto per le stampe. Bossi legò i suoi manoscritti a Gaetano Cattaneo fondatore del R. Gabinetto Numismatico di Milano, il quale dopo lunghi e profondi lavori morì senza aver potuto mettere in luce alcuna parte delle fatiche sue e del Bossi; lasciò egli erede e successore nell’impresa il segretario dell’accademia Ignazio Fumagalli, il quale morì pure senza avere nemmeno potuto dar mano in nessun modo a quella gloriosa fatica, per lunga e penosa malattia sorvenutagli quasi immediatamente dopo la morte del Cattaneo. Don Gaetano Melzi ha comperati dagli eredi Fumagalli tutti quei preziosi materiali e certamente col pensiero di commettere a dotto ed artistico ingegno il compimento e la stampa di questa sì preziosa e sì poco conosciuta storia delle arti nostre lombarde, ma il Melzi pure morì, e quei tesori giacciono sepolti nella sua libreria che il suo figlio erede tiene inacessibile a chicchessia, con gravissimo danno degli studî patrii».[24]
Intanto nel 1796, presa Milano dai Francesi, i manoscritti di Leonardo furono inviati a Parigi con sì poca cura che si teme perfino non fossero alcuni sottratti nel viaggio.[25] Il Venturi professore di Fisica a Modena, potò esaminarli a Parigi nella Biblioteca dell’Istituto, ove furono trasportati, e l’anno dopo, nel maggio, presentò all’Accademia delle Scienze di quella città un suo scritto ove faceva conoscere la grande importanza dei lavori scientifici di Leonardo, vi pubblicava l’estratto di una vita di lui, fatta da Ambrogio Mazzenta, notevolissima per la relazione che vi ti legge delle vicende dei suoi manoscritti, vi dava ragguagli utili per la sua storia, e fra le altre cose mostrava essere impossibile che egli fosse morto fra le braccia di Francesco i.[26]
Questo lavoro del Venturi fu molto utile all’Amoretti che potè pubblicare le sue Memorie storiche sopra Leonardo nel 1804. A malgrado delle lacune che vi si notano, del disordine con cui è fatto, della mancanza di sana critica, pure, per le fonti ricche di nuove notizie cui potè attingere, il lavoro dell’Amoretti è certamente il più completo che si abbia intorno a Leonardo da Vinci; ad esso perciò ricorsero senza discrezione, riportandone così le parti buone come gli errori, tutti coloro che scrissero intorno a questo argomento, senza eccettuarne il Libri, il quale del resto si occupò piuttosto di studiare nei manoscritti di Leonardo la scienza sua, che di trame documenti atti a illustrarne la vita. Nuovi documenti più specialmente utili a questo scopo furono poi pubblicati dal Gaye, da Carlo e Gaetano Milanesi, dal Calvi e da pochi altri; ma su tale argomento tratterò in altro luogo. Mi basti dire che simili ricerche, sebbene utilissime, mostrarono sempre più la necessità che prima di coordinare in modo adeguato questi elementi sparsi, si rintracciassero negli archivi pubblici, documenti atti a portar luce in molte parti ancora oscure della vita di Leonardo da Vinci; lavoro certamente non lieve.
Prima di ogni altra cosa mi accinsi a cercar notizie dell’Archivio della famiglia Da Vinci, benchè con poca speranza di riuscirvi; ma nella primavera del 1869 mi fu detto dal signor Ulisse Cantagalli che presso Montespertoli, in luogo chia­mato Bottinaccio, abitava un contadino che si chiamava Vinci e che diceva possedere scritti di Leonardo. Infatti recatomi qualche tempo dopo in quel luogo mi fu mostrato da Tommaso Vinci un involto, ed esaminandolo riconobbi che era appunto l’Archivio posseduto in passato da Anton Giuseppe da Vinci, e che videro il Dei e il conte Peruzzi, ma privo dei documenti che essi avevano copiato. Ciò che mi tolse ogni dubbio fu il trovarvi una lettera indirizzata al detto Anton Giuseppe, pre­tore a Barberino di Mugello, e di aver riconosciuto, dopo esser tornato a Firenze, che la scrittura dei titoli delle camicie dell’Archivio ritrovato e il carattere del Dei erano identici, e che per conseguenza quelle camicie dovevano essere state poste dal Dei stesso. L’Archivio era assai disordinato, e non ne rimanevano che le camicie coi numeri 3, 7, 10, 13, 16 e 17. Mancava la lettera del Melzi, che non vi fu ritrovata nel 1779, nè vi era il testamento di Leonardo da Vinci che pare in quell’anno vi fa copiato dal Peruzzi; e mancava anche la procura fatta dal De Vilanis a Girolamo Melzi.
Da quanto precede si ricava che dei due primi documenti le copie più certe che attualmente si abbiano, trovansi, in quanto alla lettera del Melzi, fra le reliquie dei manoscritti del Dei, in quanto poi al testamento, nei manoscritti del De Pagave.
I documenti più importanti, conservati nell’archivio di Tommaso Vinci, si riferivano al padre ed ai fratelli di Leonardo; e benchè il nome di quest’ultimo non vi si trovasse, pure mi furono utili per la storia della sua famiglia.
Tommaso Vinci non seppe darmi informazioni precise intorno a questi manoscritti, e avendogli fatto notare la mancanza di molti di essi, egli altro non seppe rispondermi se non che in passato erano stati fra le mani di un tal prete Corsi di Vinci, e che forse avrei potuto ottenere maggiori schiarimenti da due sue cugine che abitavano in quel villaggio. Recatomi colà e trovate quelle due donne, mi riferirono che da bambine avevano visto dei documenti in mano della madre, che li conservava in una federa di guanciale. Essa mostrava ai forestieri l’albero della sua famiglia che trovavasi fra quelli, poi teneva in poco conto gli altri. Un giorno finalmente le furono richiesti da Tommaso Vinci, a cui li dètte. Mi aggiunsero essere stati quei fogli in mano di varie persone in Vinci, fra le quali mi citarono il marchese Mazzenta[27] che al principio del presente secolo frequentava quei luoghi e passava una piccola pensione al padre loro; si potrebbe quindi, fra le varie ipotesi, ammettere quella che il marchese Mazzenta acquistasse alcuni documenti relativi a Leonardo. Una lettera[28] del figlio di quello, che mi è stata gentilmente comunicata dal signor Tommaso Comparini, mostra che il padre suo possedeva manoscritti di Leonardo; ma poi li cedè ad un pittore in cambio di stampe del Morghen. Non rimanendo notizie di questo pittore, non mi fu dato ritrovare queste carte, nè sapere qual ne fosse il contenuto.
Un’altra fonte di notizie utili per la storia della famiglia Da Vinci trovai nei catasti relativi a Leonardo e alla sua famiglia, da me colla massima attenzione esaminati nell’Archivio centrale di Stato in Firenze. Quivi, essendomi anche stato reso ostensibile l’Archivio dei conventi soppressi di Santa Lucia alla Castellina, vi rinvenni moltissimi documenti riguardanti la famiglia Da Vinci, passati in quel convento perchè un Guglielmo da Vinci (nipote di Guglielmo fratello carnale di Leonardo), divenuto frate, fece al convento stesso donazione di tutti i suoi beni. Finalmente rintracciai nello Spedale di Santa Maria Nuova documenti importanti, fra i quali uno è quello di cui l’Amoretti[29] trovò un estratto fra le carte dell’Oltrocchi senza sapere d’onde questi lo avesse tratto, ma che ebbe probabilmente dal Dei; un altro affatto sconosciuto determina le epoche del soggiorno di Leonardo in Firenze fra il 1500 e il 1507.
Giova qui ora rammentare le ricerche fatte dall’Houssaye[30] nel 1863, quale incaricato dal Governo Francese, ad Amboise e al Castello del Cloux, per rintracciare documenti relativi alla dimora di Leonardo in quei luoghi, alla sua morte ivi avvenuta, e per ritrovarne la tomba, poichè molte vicende avevano fatto sì che le memorie di Leonardo si perdessero a poco alla volta anche in quelle parti.
Infatti quarant’anni circa dopo la sua morte, e precisamente nel 15 marzo 1560, la congiura di Amboise, ordita specialmente dalla nobiltà francese calvinista, per sottrarre il Re Francesco ii all’influenza dei Guisa, venne soffocata nel sangue; e ciò diede origine a feroci lotte religiose, nelle quali vuole la tradizione che molte tombe fossero infrante e le ossa che contenevano disperse, sicchè fino da’ tempi anteriori alla Rivoluzione del 1789 nessuna tomba notabile si vedeva più nella chiesa ove era stato seppellito Leonardo.
Nel 1808 questa fu demolita per ordine di Roger Ducos; le pietre funerarie furono vendute, e le casse di piombo contenenti i cadaveri furono fuse per estrarne il metallo. La memoria di Leonardo andò in quei luoghi rapidamente dileguandosi, e la sola che di lui rimane nel Castello del Cloux sono i ricordi che il proprietario del Castello medesimo, cultore delle arti, vi ha posto in onore del grand’uomo che vi abitò. Questo castello è ora detto Clos-Lucé, perchè il suo nome andò modificandosi col tempo dopo che fu unito alla piccola tenuta di Lucé. Esso conserva in alcune sue parti lo stile antico; ma un restauro fatto nel xvi secolo, ed altre riparazioni più moderne, gli hanno tolto in molte parti il carattere storico, e nell’interno sono spariti gli arabeschi e salamandre dipinte sopra fondo d’oro sullo stile di Francesco i, i cui avanzi, venti anni prima, ve­devansi ancora sulle pareti.
Nella piccola cappella unita al Castello del Cloux vi sono pitture attribuite a Leonardo. Houssaye crede vedere in un quadro di una Madonna, at­traverso i ritocchi, una testa d’angelo di mano del Melzi, o almeno vi riconosce lo stile milanese.
Altre pitture che si trovano a Tours e ad Amboise, sono esse pure attribuite erroneamente a Leonardo. In quanto poi ai ritratti di Francesco i e della Regina Claudia, rammentati dall’abate Roger come eseguiti dallo stesso artista e che si vedevano in Amboise, non ne rimane vestigio alcuno.
Tornando adesso a parlare della tomba di Leonardo, osserverò che fra i rari documenti che rimangono, sono da notarsi in primo luogo la dichiarazione del figlio di Duchatellier, delegato di Ducos ad Amboise, il quale afferma che la tomba era nel coro della chiesa e che Ducos, lungi dall’averla profanata, era invece preoccupato del pensiero di ritrovarla; e secondariamente quella del giardiniere Goujon, che mosso un giorno da un pietoso sentimento raccolse le ossa e le depose ove poteva supporsi fosse il coro della chiesa, il quale è attualmente ricoperto da rigogliosa vegetazione.
L’Houssaye il 23 giugno 1863, in presenza di varie autorità, cominciò a far gli scavi, disponendo gli operai in tre schiere, una destinata a riconoscere le fondazioni della Chiesa, le altre a ritrovare l’ossario.
L’immaginazione del sig. Houssaye si abbandona in questa occasione a belle considerazioni ma assai vaghe; ed io mi contenterò di rinviare il lettore al processo verbale degli scavi, unito al rapporto[31] da lui scritto e diretto al proprio Governo.
Il 29 agosto 1863, nel punto indicato nella lettera del Duchatellier, sotto un mucchio di pietre appartenute alla chiesa demolita, fa scoperto uno scheletro con vari oggetti, fra i quali uno scudo d’argento con una effigie supposta di Francesco i.
Il giardiniere del Castello del Cloux trovò, peraltro a una certa distanza dallo scheletro, come osserva lo stesso Houssaye, due pezzi di pietra in una delle quali era scolpito LEO e nell’altra INC, e dopo maggiori ricerche un terzo frammento in cui era scritto EO DUS VINC, lettere che rammentano con evidenza il nome di Leonardo da Vinci.
È cosa dispiacevole che le considerazioni fantastiche del sig. Houssaye sul cranio di Leonardo, la mancanza assoluta di critica e la leggerezza colla quale egli trascura alcune osservazioni importanti, risveglino nel lettore qualche diffidenza sulla veracità di quella relazione. Infatti due monete credute italiane, rinvenute vicino allo scheletro supposto, sparirono poco dopo, nè egli si occupò di decifrare alcune iscrizioni gotiche ritrovate in quel medesimo luogo. «La mia fiducia» dice egli «non proveniva da questo. Proveniva dalla grandezza dello scheletro e dalla maestà della testa, nella quale il sig. Roberto Fleury, direttore della scuola di Roma, dopo averla toccata con rispetto, ha riconosciuto le fier et pur dessin de cette tête humaine qui a contenu un monde».
L’Houssaye trovò un secondo cranio assomigliante al primo, nel luogo ove esisteva anticamente il monastero dei frati di quel Capitolo, rammentato da Leonardo nel suo testamento, meritevole, egli dice, di essere studiato davanti al ritratto di Leonardo, e che aveva dovuto certamente contenere per il passato un’alta intelligenza.
Senza fermarci su tali ipotesi, osserverò, stando all’Houssaye, che il sig. Cartier,[32] il quale si è occupato in modo speciale della storia del Castello del Cloux, e quindi ha ricercato tutto quello che poteva riferirsi al Genio che lo ha reso celebre, non rinvenne nessun documento importante ad esso relativo.
È da notarsi però come cosa singolare nel libro dell’Houssaye che egli abbia ritrovato ad Amboise il discendente di quel Borean[33] che rogò il testamento di Leonardo. Questi, notaio come i suoi antenati, ricercò nel suo archivio l’originale di quell’atto; e benchè non ne abbia scoperta traccia alcuna, pure da quanto scrive[34] all’Houssaye si rileva che non esaminò attentamente tutte le carte antiche che possedeva; riman quindi la speranza che non solo non sia perduto il testamento di Leonardo, ma che nel farne ricerca vengano in luce altri documenti relativi agli ultimi anni della sua vita, rimasti avvolti quasi del tutto nell’oscurità.
Alle pagine che precedono e che sono essenzialmente, salvo poche differenze, quelle scritte nel 1872, credo opportuno aggiungerne alcune relative alla missione per far ricerche al Castello d’Amboise che nel 1863 il signor A. Houssaye, allora ispettore generale delle Belle Arti, ebbe dal Governo Francese.
Le mie indagini ulteriori mi hanno confermato essere la relazione da lui pubblicata un romanzo fantastico, e se nella seconda edizione di questa ricerca non ho fatto mutamento alcuno al giudizio che già ne ho espresso, si è perchè molti continuano a valersi delle favole dell’Houssaye, ed è quindi opportuno non lasciarle nel silenzio che altrimenti meriterebbero. Che dire infatti della coda alla storia del cranio di Leonardo, fatta dall’Houssaye nella seconda edizione della sua opera,[35] ove accenna a una tomba da lui eretta a Leonardo, ove dice come nel 1863 egli portasse il cranio a Parigi per farlo vedere all’imperatore Napoleone e ad altri personaggi, come lo rimandasse al Castello d’Amboise, come da quell’Intendente fosse rinchiuso in una cassetta per essere mostrato ai forestieri, come un altro Intendente succeduto al primo, ritrovando la cassetta con la relativa iscrizione, credette che il cranio che vi era entro fosse ignoto, come infine il proprietario, cioè il Conte di Parigi, fece costruire un secondo sepolcro per Leonardo che così ne ebbe due! Riguardo a quello poi che l’Houssaye dice intorno ai quadri del Castello d’Amboise, giova qui ricordare che nel processo verbale dell’inventario dei quadri ed oggetti d’arte esistenti nel Castello d’Amboise e di Chanteloup, fatto il ventinove ventoso, anno ii (19 marzo 1794) da Rougeot, direttore del Museo di Tours e da Raverot, pittore in miniatura, non fu trovato nulla di notevole in questi due castelli in fatto di opere d’arte.[36]
Ivi solo si legge: «Dans le boudoir, à côté de la chambre à coucher, avons remarqué six tableaux en paysages, qui paraissent peints par Robert, lesquels méritent d’être conservés; qui sont les seuls objets des sciences et des arts qui se soient trouvés au ci-devant château d’Amboise, les surplus n’étant que des meubles meublants.
«Et le suite nous nous sommes transportés au ci-devant château de Chanteloup . . . . .
«Une femme mourante dans les bras d’un homme qui la soutient . . . . .».
Questo ultimo quadro è attribuito al Guercino e rappresenta Cefalo e Procri secondo quanto si legge, sotto il n° 233, nella «Notice du Musée de Tours», stampata nel 1874.
È poi fatto in detto inventario un accenno ad altri quadri come cose di nessun valore artistico.
Altre notizie interessanti si ricavano dall’inventario analitico degli Archivi comunali d’Amboise, dal 1421 al 1789, pubblicato dall’abate Chevalier, presidente della Società archeologica della Touraine.[37] Ecco quanto vi si trova relativamente a italiani stati in quella località.
In principio vi si legge:
«. . . . . le fond à déjà été exploré avant nous, mais non d’une manière générale, ni méthodique.
«M. Étienne Cartier père y a recherché, à des dates déterminées, les faits capitaux indiqués par l’histoire».
P. xxx. «Jusqu’ici, dans cette longue nomenclature d’artistes qui ont travaillé pour le compte de la ville d’Amboise, nous n’avons vu apparaître aucun nom italien. Il est temps de signaler les indices, d’ailleurs fort rares, que nous avons recueillis à ce sujet.
«En 1511 Loys Amaugeart et Jérôme Pacherot, maitre maçons, et Robin Rousseau, maître charpentier, furent chargés d’exécuter le nivellement de la Cisse. On sait que Pacherot, ou Passerot, ètait un italien amené en France par Charle viii, et qu’il habita Amboise avant d’habiter Tours . . . . .».
Quantunque le ricerche di documenti relativi agli anni che Leonardo visse in Francia non abbiano dato fino ad oggi risultato soddisfacente, pure è da sperarsi che qualche maggior luce sarà portata dagli studi che intorno a lui si stanno ora facendo in Francia da illustri scrittori, specialmente dal Muntz e dal Ravaisson-Mollien. Per ciò che riguarda i documenti costituenti l’Archivio della famiglia Da Vinci,[38] e che acquistai, come sopra ho indicato, nel 1859 da Tommaso Vinci, credo opportuno accennare che essi furono da me consegnati il 24 ottobre 1873 alla Sezione di Archeologia dell’xi Congresso degli scienziati tenuto in Roma in quell’anno[39] perchè fossero destinati a quel pubblico Istituto creduto più opportano dalla Sezione stessa. La Sezione avendo rimessa la scelta al suo presidente Duca Caetani di Sermoneta, questi dispose fossero consegnati all’Accademia dei Lincei. Questa consegna, per motivi a me ignoti, non fu fatta, da quanto seppi dal Bibliotecario dell’Accademia stessa, che alla fine del 1880. È da sperare che codesta Accademia, per l’autorità che ha, potrà forse più di me riuscire facilmente a rintracciare i documenti originali che ho accennato alle pagine 17 e 18, cioè il testamento di Leonardo da Vinci, la lettera di Francesco Melzi e la procura fatta a Girolamo Melzi dal De Vilanis, carte che mancano nella raccolta dei documenti in discorso e che sono certamente le fondamentali fra quelle che in passato costituivano l’Archivio della famiglia Da Vinci.






[1] Doc. lix.
[2] Doc. lxvi. - Vedi n. xx di questo ducumento.
[3] Da Vinci Lionardo, Trattato detta Pittura, ecc. Firenze, Pagani e Grazioli, 1792, in-4°. - Vedi pref. pag. ii e xxiv in nota.
[4] Gaye G., Carteggio inedito d’artisti, ecc. Firenze, Molini, 1839-1840, vol. 3 in-8°. - Vedi vol. i, p. 223.
[5] Serie di ritratti ed elogi di uomini illustri toscani. Firenze, Allegrini, 1766-73, vol. 4 in-f.° e un atlante. - Vedi vol. ii.
[6] Amoretti C., Memorie storiche sulla vita, gli studi e le opere di Lionardo da Vinci, premesse al Trattato della Pittura di Lionardo da Vinci. Milano, tip. de’ Classici italiani, 1804, in-8°. - Vedi p. 129. - L’Amoretti ha dato pel primo questo documento, del quale trovò copia tra i fogli dell’Oltrocchi senza sapere d’onde questi l’avesse tratto.
[7] Pananti F., Versi e prose, ecc., Firenze, Piatti, 1824, vol. 2 in-8°. - Vedi vol. ii, p. 7 e 31.
[8] Archivio centrale di Stato in Firenze, Filza Dei.
[9] Amoretti C., Memorie storiche, ecc., p. 12 e 13.
[10] Leonardo in generale ha scritto da destra a sinistra, sopratutto nelle sue cose scientifiche. Per leggerlo conviene adoperare uno specchio, ovvero, quando la carta è abbastanza sottile o traslucida, guardare il carattere per trasparenza. Con qualche pratica si può far a meno di questi sussidi.
[11] Cighera P., Memorie intorno alla vita ed agli studi di Baldassare Oltrocchi, ecc. Milano, Motta, 1804, in-8°. - Vedi p. 42. - Quest’opera si trova unita, con numerazione separata ma con titolo comune, alla tiratura a parte dell’opera già citata: Amoretti, Memorie storiche, ecc., nella quale, si noti, la pagina identica a quella dell’edizione premessa al Trattato della Pittura e da me citata, ha un numero minore di otto rispetto alla pagina di quest’ultima edizione. Ho fatta questa osservazione dovendo citare sovente in seguito l’opera dell’Amoretti.
[12] Tiraboschi G., Storia detta letteratura italiana, ecc. Milano, tip. dei Classici italiani, 1822-26, vol. 16 in-8°. - Vedi t. vii, p. 2444 a 2494.
[13] Bossi G., Del Cenacolo di Leonardo da Vinci. Libri 4. Milano, Stamperia Reale, 1810, in-folio. - Vedi p. 19 a 22.
[14] Nelle carte del De Pagave, conservate nell’Archivio de’ conti Melzi in Milano, egli è chiamato in alcuni luoghi Consigliere del Governo austriaco in Lombardia, in altri Segretario del Governo e del dipartimento di guerra della città e Stato di Milano.
[15] Campori G., Lettere artistiche inedite. Modena, Soliani, 1866, in-8°. - Vedi p. 233.
[16] Doc. lx e lxi.
[17] Doc. lxii.
[18] Bottari G., Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura, ecc., continuata fino ai nostri giorni da Stefano Ticozzi. Milano, Silvestri, 1822-25, vol 8 gr. in-16°. - Vedi vol. iv, p. 414 e 418. - La prima edizione cominciò a stamparsi in Roma nel 1754 e fu ultimata nel 1773.
[19] Archivio centrale di Stato in Firenze. Filza Dei.
[20] Amoretti C., Memorie storiche, ecc., p. 127.
[21] Amoretti C., Memorie storiche, ecc., p. 129.
[22] Amoretti C., Memorie storiche, ecc., p. 121.
[23] Predari F., Bibliografia enciclopedica milanese, ecc. Milano, M. Carrara 1857, in-8°. - Vedi p. 553.
[24] È questa una calunnia. A me furon date la maggiori facilità per esaminare le carte de Del Pagave possedute dalla famiglia Melzi e riordinate alfabeticamente per nomi d’artisti, con molta cura, dal march. G. D’Adda; ciò poterono egualmente fare il Rio, il Passavant, il Waagen, il Perkins, il Calvi, il Mongeri, il Govi, l’Houssaye ed altri molti.
[25] È stato recentemente messo il dubbio che tanto questi manoscritti come i disegni di Leonardo che sono a Parigi potessero aver sofferto in causa dei fatti ivi avvenuti nell’ultima guerra. Il sig. G. Monod, allora direttore aggiunto alla École des haute Études di quella città alla cui gentilezza mi ero rivolto per avere schiarimenti in proposito, mi comunicò una lettera del sig. L. Courageod in data 27 agosto 1872, ove questi così scriveva: «Dans les incendies de la Commune, rien n’a péri ni à la Bibliothèque de l’Institut, ni au Musée du Louvre. Les Mss. et les Dessin de Léonard possedés par ces deu établissements sont intacts».
[26] Riguardo alla vita di Leonardo scritta dal Mazzenta ed alla storia dei manoscritti qui sopra citati, vedi Uzielli G., Ricerche intorno a Leonardo da Vinci, serie seconda (Roma, Salviucci, 1884, in-8°), p. 217 e seguenti.
[27] Questo nome rammenta quello di G. Ambrogio Mazzenta, ingegnere milanese, morto assai vecchio nel 1635, che ci ha lasciato la storia dei manoscritti di Leonardo, e che molti ne aveva raccolti provenienti dalla famiglia Melzi. Il marchese Mazzenta però non apparteneva alla famiglia patrizia di questo nome. Per G. A. Mazzenta vedi Uzielli G., Ricerche, 2a serie, ecc., p. 217 e seg.
[28] Doc. lxv.
[29] Amoretti C., Memorie storiche, ecc., p. 108 e 129.
[30] Houssaye A., Histoire de Léonard de Vinci. Paris, Didier, 1869, in-8°. - Vedi p. 293 e seguenti.
[31] Houssaye A., Le Tombeau de Léonard de Vinci. Rapport à M. le Ministre des Beaux Arte. - Vedi nel periodico l’Artiste i numeri di gennaio, febbraio e marzo 1864.
Le parti essenziali del Rapport furono pure pubblicate nella Revue Universelle des Arts publiée par M. Paul Lacroix (Bibliophile Jacob) et M. M. Marsuzi de Aguirre, t. xix, 1864, a p. 105, col titolo Découverte du tombeau de Léonard de Vinci, e con note dello stesso Lacroix.
[32] Cartier, Histoire du Château de Clos-Lucé. (Mss. negli archivi del Castello).
[33] Il nome attuale di questo notaio è Boureau; nell’originale del testamento era probabilmente Boreau e i copiatori scambiarono un u per un n. Questi, come si è visto a p. 30 e a p. 36, furono il Dei e il Peruzzi. Si è detto che la copia del Dei fu stampata dal Durazzini, e quella del Peruzzi si trova nelle carte del De Pagave.
[34] Doc. lxiv.
[35] Paris, Didier, 1876, in-12o. Salvo la prefazione, è identica alla prima.
[36] De Grandmaison Ch., archiviste d’Indre et Loire, Inventaire des tableaux et objets d’art des châteaux d’Amboise et de Chanteloup, 29 ventôse, an ii (mars 1794), pubblicato nelle Nouvelles Archives de l’art français, 1879, p. 186 a 192.
[37] Chevalier, Inventaire analytique des Archives communales d’Amboise, 1421-1789, suivi de documents inédits à l’histoire de la Ville. Tours, Georget Joubert, 1874.
[38] Per l’elenco di tali documenti vedi Doc. lxvi.
[39] Atti della undecima riunione degli scienziati italiani tenuta in Roma dal 20 al 23 ottobre 1873, Roma 1874. - Vedi p. 373.

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