mercoledì 17 settembre 2014

1884 - UZIELLI, Relazione di G. A. Mazzenta sopra il disperdimento dei manoscritti di Leonardo da Vinci



Relazione di G. A. Mazzenta sopra il disperdimento
dei manoscritti di Leonardo da Vinci.
Atto di donazione di parte di essi fatta da
Galeazzo Arconati
alla Biblioteca Ambrosiana di Milano.

La conoscenza di questi due documenti, è essenziale per avere idea chiara della storia della massima parte dei manoscritti di Leonardo e del loro successivo disperdimento.
Questi manoscritti oltre essere andati dispersi, ricevettero da chi li ebbe fra le mani varie segnature. Alcuni furono sostituiti da altri pare autografi, alcuni furono riuniti fra loro; ad altri furono sottratte delle carte per formare nuovi codici. Credo quindi opportuno pubblicare la Relazione di Gian Ambrogio Mazzenta e la Donazione di Galeazzo Arconati, facendo seguire questi due documenti da un quadro che li riassume e che mostra chiaramente il disperdimento dei manoscritti di Leonardo da Vinci e le varie segnature che ebbero, mentre illustrazioni complessive di tutti i manoscritti di lui si troveranno nel Documento vii.
La Relazione di Gian Ambrosio Mazzenta Milanese si trova in un codice legato in pergamena esistente nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, segnato H. 227. P. inf.e,[1] scritto in caratteri del secolo xvii. Esso contiene cose relative a Leonardo ed è principalmente copia di capitoli del Trattato della Pittura, tratti da manoscritti originali di lui.
La Relazione porta per titolo: Alcune memorie de’ fatti di Leonardo da Vinci a Milano e de’ suoi libri (del P. Don Gio. Ambrosio Mazzenta Milanese Chierico Reg.re minore di S. Paolo altrim.ti d.ti Barnabita). È molto probabilmente autografa e forse scritta a Roma nel 1635. Le parole che sono poste fra parentesi nel titolo sono di carattere diverso da quello del resto del documento, e non sembrano del Mazzenta, ma aggiunte posteriormente.[2]
Di questa Relazione, cavata però da altro codice, si valsero vari autori per trarne notizie sui manoscritti di Leonardo da Vinci, cioè Raffaello Trichet Du Fresne[3] nell’edizione da lui fatta nel 1651 del Trattato della Pittura del da Vinci stesso, allora per la prima volta pubblicato; il Venturi[4] che ne diede un riassunto in francese nel 1797 e il Piot[5] che la pubblicò integralmente pure in francese nel 1861.
Il testo del Mazzenta, cui ricorsero i sopradetti autori, si trova in un codice contenente il Trattato della Pittura, che è copia di manoscritti di Leonardo da Vinci. Le figure che contiene sono disegnate dal Poussin. Nel 1640 fu donato dal Cavalier Cassiano del Pozzo a Roland Fréart sieur di Chambray e a suo fratello il Signore di Chantelou. Questo codice servì al Du Fresne per l’edizione del Trattato della Pittura che pubblicò, come si è ora detto, nel 1651. Esso appartenne successivamente al presidente Matteo Molè, quindi nel secolo scorso passò nella Biblioteca Chardin e in questo secolo nella Biblioteca Renouard ed ora appartiene al Sig. Ambrogio Firmin-Didot.[6]
Nel 1873 il prof. G. Govi[7] stampò la Relazione del Mazzenta, valendosi del Codice dell’Ambrosiana di Milano citato sopra, facendola seguire da un erudito commento da lui per altro laciato interrotto; ma che potrà essere utilmente consultato da coloro che vorranno, oltre a quanto riguarda i manoscritti, avere illustrazioni dei vari argomenti e delle varie persone di cui parla il Mazzenta.

Il secondo documento che viene oggi per la prima volta pubblicato per intero, è l’atto della donazione di alcuni manoscritti di Leonardo fatta da Galeazzo Arconati alla Biblioteca Ambrosiana di Milano; atto che ivi ora ai conserva.
Questo documento scritto parte in latino, parte in italiano è stampato; ma dal complesso, mi scrive l’egregio Abate Ceriani, pare stampa privata fatta per evitare molte copie manoscritte. Non porta nota nè di anno, nè di luogo, nè di stampatore. Consta di 16 pagine in 4o, e la stampa pare del tempo della donazione.
A maggior schiarimento delle peregrinazioni dei manoscritti di Leonardo da Vinci indicati in questa donazione, ho posto alcune brevi note specialmente per far conoscere le sottrazioni di carte che essi subirono, benchè del medesimo argomento si tenga parola anche nel Documento vii.
Il testo della donazione Arconati, che è tutto in caratteri dello stesso tipo, è riprodotto integralmente, se non che ho adoperato il maiuscoletto o il corsivo per alcune indicazioni che nel testo erano talora distinte con parentesi o con virgolette.

Il quadro posto in seguito ai due documenti, ora descritti, riassume quanto si legge nei medesimi.
Mentre nel Documento vii di questo volume do la descrizione dello stato attuale di codici di Leonardo da Vinci, secondo la loro distribuzione geografica, ho creduto poi opportuno pubblicare questo quadro per indicare, in modo chiaro, la storia della loro dispersione.
Per compilarlo mi sono valso principalmente, oltrechè di mie ricerche personali, delle opere del Piot,[8] del Dozio,[9] del Jordan,[10] e del Ravaisson Mollien.[11]

A quanto precede credo opportuno aggiungere alcuni schiarimenti che possono servire a far meglio conoscere la storia dei manoscritti di Leonardo.
Come risulta dal testamento di Leonardo da Vinci del 1519[12] e come è confermato dalla relazione Mazzenta, Francesco Melzi ereditò i manoscritti di Leonardo da Vinci. Leonardo molto probabilmente ne dette alcuni pochi ad altri mentre era in vita. Indicherò con X quest’ultimo gruppo di codici.
I manoscritti avuti da Francesco Melzi ebbero la sorte seguente:
α. 13 volumi passarono successivamente, come si legge nella Relazione di Gian Ambrogio Mazzenta, a Lelio Gavardi, quindi per consiglio di Gian Ambrogio Mazzenta stesso furono restituiti ad Orazio Melzi il quale li donò ad Ambrogio e fratelli Mazzenta.
β. Vari andarono in varie mani; Orazio Melzi ne lasciò prendere alcuni da diverse persone; altri li ebbe dai Melzi Pompeo Leoni.
I 13 codici α. andarono divisi come segue:
α. a. Uno fu dato dai Mazzenta nel 1603 al Cardinale Federico Borromeo, il quale nel 1609 lo regalò all’Ambrosiana di Milano. Nel 1796 andò a Parigi. È il codice C del Venturi.
α. b. Uno divenuto proprietà di un fratello di Gian Ambrogio Mazzenta, fu a quest’ultimo chiesto e ottenuto dal Duca Carlo Emanuele di Savoia ed ora è perduto.
α. c. Uno lo ebbe pure dai Mazzenta, Ambrogio Figino, quindi Ercole Bianchi suo erede, e nel secolo scorso Smith console inglese a Venezia; nè ora si sa ove si trovi.
α. d. Sette furono restituiti dai Mazzenta a Orazio Melzi e poi probabilmente li ebbe Pompeo Leoni, il quale alla morte del fratello di Gian Ambrogio Mazzenta, potè avere senza che questi potesse saper come, i tre rimasti ai Mazzenta. Ottenuti così il Leoni 10 dei 13 volumi α potè formare con parte di essi e con altri, avuti come sopra si è visto, un grosso volume che dal suo erede Cleodoro Calchi fu venduto per 300 scudi d’oro nel 1625 a Galeazzo Arconati, il quale lo donò all’Ambrosiana nel 1637. È questo il codice Atlantico (N del Venturi).
I codici di Leonardo venuti in mano di Pompeo Leoni, e quindi del Calchi, non furono tutti uniti al codice Atlantico, ma alcuni servirono a costituire i volumi donati all’Ambrosiana da Galeazzo Arconati, insieme all’Atlantico, alla formazione dei quali concorsero probabilmente manoscritti di Leonardo usciti dall’Archivio di Francesco Melzi, ma non passati per le mani di Lelio Gavardi. Infine una parte dei manoscritti avuti da Pompeo Leoni servirono a formare i volami comprati da Lord Arundel ed alla morte di questo dal re d’Inghilterra, volumi che ora si trovano nella Biblioteca Reale di Windsor e nel British Museum a Londra.
Tolti i manoscritti di cui ho brevemente narrato le vicende, cioè quelli avuti dal Borromeo, da Carlo Emanuele, dal Figino, da Lord Arundel e quelli donati dall’Arconati all’Ambrosiana, tutti gli altri di Leonardo oggi sparsi in Europa e che unitamente ai primi sono descritti nel Documento vii debbono provenire:
1.° Dai manoscritti β, cioè da quelli posseduti da Francesco Melzi, tolti quelli α passati a Lelio Gavardi.
2.° Dai manoscritti α d che Pompeo Leoni ebbe dopo che appartennero a Lelio Gavardi, di una parte dei quali solo si valse per formare il codice Atlantico e gli altri codici della donazione Arconati.
3.° Dai manoscritti X non compresi in quelli lasciati per eredità da Leonardo da Vinci a Francesco Melzi.
Però, ripeto, è da ritenersi che nuovi codici continuarono a formarsi con sottrazioni successive di una o più carte fatte a codici vari.
In quanto alle diverse indicazioni e segnature che caratterizzano i codici di Leonardo, donati in vari tempi all’Ambrosiana, esse richiedono alcuni schiarimenti strettamente connessi con la storia delle peregrinazioni e delle vicende dei codici medesimi.
Verso il 1790, Stefano Bonsignori, poi vescovo di Faenza, che risulta essere stato in quell’anno dottore nella Biblioteca Ambrosiana, mandò ad Angelo Comolli[13] una descrizione incompleta, senza numerazione di fogli, infine imperfetta assai, dei codici Vinciani esistenti in quella Biblioteca, descrizione, che questi pubblicò nel 1791 e che si trova riprodotta nell’opuscolo del Dozio[14] (omessa però la descrizione del codice Atlantico) pubblicato nel 1871.
Nel 1796, tredici manoscritti di Leonardo da Vinci esistenti all’Ambrosiana furono per ordine del Governo Francese, trasportati a Parigi, ove giunsero il 25 Novembre del 1796.[15] Il Giornale Ufficiale ne dette una nota dettagliata il 28 Novembre dello stesso anno (octidi frimaire an. v). Dei 13 codici, il primo, cioè il codice Atlantico, fu depositato alla Biblioteca Nazionale, e gli altri 12 nella Biblioteca dell’Istituto di Francia, ove si trovano tuttora. Questi 13 manoscritti comprendevano 10 dei 12 manoscritti della donazione Arconati. Vi fa portato pure un codice di Leonardo sostituito, da mano ignota avanti il 1795, in Milano, al 5° della donazione suddetta e che rimase così a fare ufficialmente parte della medesima. Il 2° di questa donazione che non era di Leonardo come si vedrà più avanti, ma un codice della Divina proportione del Paciolo, restò a Milano. Gli altri due codici che furono portati a Parigi dall’Ambrosiana, non facevano parte di questa donazione ma erano:
1.o Un codice stato donato da Orario Archinti all’Ambrosiana nel 1674, che l’Oltrocchi chiama « Codex Archintianus » e che fu poi marcato K da Giovan Battista Venturi.
2.o Il codice di cui si è già parlato, dato all’Ambrosiana dal Cardinale Federico Borromeo, segnato poi C dal Venturi.
Quando i codici partirono da Milano ricevettero varie segnature e giunti a Parigi ne ebbero altre dal Venturi, cioè le lettere maiuscole che li distinguono ancora.[16]
Nel 1815 tutti i manoscritti di Parigi dovevano essere restituiti all’Ambrosiana di Milano, ma furono ricercati solo nella Biblioteca Nazionale, e fu quindi restituito solo il codice Atlantico, mentre gli altri si dichiararono perduti e al luogo loro furon date delle copie di altri manoscritti di Leonardo.[17]
In conclusione ora dei 12 volumi della donazione Arconati, a Parigi ve ne sono 9, perchè il 1o cioè il codice Atlantico è tornato a Milano, e il 2o non fu mai portato a Parigi per non essere un codice del Vinci. Infine il 5o della donazione Arconati sembra ora essere il codice della Biblioteca Trivulzio, mentre al suo posto prima nella Biblioteca Ambrosiana a Milano, e ora nella Biblioteca dell’Istituto di Francia, trovasi altro codice di Leonardo sostituito a quello sottratto.
I 12 volumi poi conservati ora nella Biblioteca dell’Istituto di Francia comprendono 9 codici (cioè i n.i 3. 4. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12) della donazione Arconati, il codice sostituito al 5°, come ora si è detto, il codice Archintiano = K (Venturi) ed il codice del Borromeo = C (Venturi).

I.

Relazione di A. Mazzenta
scritta verso il 1675 (?)

Alcune memorie de’ fatti di Leonardo da Vinci a Milano e de’ suoi libri (del P. don Gio. Ambrosio Mazzenta milanese Cherico Reg.re Minore di S. Paolo altri.ti d.ti Barnabita).

Già quasi cinquant’anni, vennero alle mie mani libri tredici di Leonardo da Vinci, alcuni scritti in foglio, altri in quarto, alla rovescia, secondo l’uso degli Hebrei, con buoni caratteri, assai facilmente letti, mediante uno specchio grande. Io gli hebbi per ventura, ed il caso me li porto alle mani nel seguente modo. Studiando io leggi a Pisa nella camerata di Aldo Mannucci il giovane curioso assai de libri, vi fù Lelio Gauardi d’Asola preposto di S. Zeno di Pavia, ed al Mannucci stretto parente. Questi essendo stato per Maestro d’humanita con Sig.ri Melzi[18] detti a Milano da Vauero lor villa, in differenza d’altri Melzi Nobili della medesima Città, ritrouo nella villa detta in casse antiche molti disegni, libri e strumenti lasciatiui da Leonardo composti, quando ui dimorò molt’anni come Maestro del S.r Francesco Melzi nelle bell’arti, e con l’occasione datali dal Duca Lodouico Sforza, detto il Moro, di cola filosofar e studiare per superare le difficolta incontrate nel deriuare dal fiume Adda quel Emissario e gran Canale navigabile di Martesana detto dalla provincia e paese d’onde passa, per dar l’acque a Milano, con l’aggiunta di miglia duecento di navigabile riuiera sin alle ualli di Chiauenna, e Valtelina, con tutto li laghi di Brivio, Lecco, e Como, ed infinite irrigationi. Fu magnanima, l’opera degna del bell’ingegno di Leonardo, e piu la nobile concorrenza, con l’altro Emissario ducent’anni prima, ne tempi della repubblica Milanese, cauato dal fiume Tesino, dal Lago Maggiore, dalle Valli dell’Alpi di Germania, con ducento altri migli di navigatione: quali solo sotto le mura della città peruenendo, montaui, mediante machine e cataratte sufficienti, per inuentione mirabile di Leonardo, ad uguagliare, comunicare e rendere nauigabili li sudetti fiumi, laghi, e paesi felicitati con tali comodi, e con l’aggionta della nauigatione nel Po, e quindi al mare. Degno d’imortal memoria è Leonardo anche per questa singolar opera, nella quale molto studio e peno per far caminar Navi capaci di 300, e 400 some di peso, per l’altezze de monti, alzandole, abbassandole, e ponendole in piano, mediante l’acqua uguagliata, temperata, con cataratte, e scaricatori di molta facilita e sicurezza. Quanto meditasse Leonardo in quest’Eroica fattione, si può cauar da libri suoi detti pieni di belissime considerationi, con disegni espressi, circa la natura, peso, moto, e giri dell’acque, e circa varie machine per regolarle, ed utili anche per molt’altre facolta ed arti. Si gode molto nel leggere l’istessi libri per l’intelligenza ed eruditione dell’Auttore nel’Aritmetica, Geometria, Optica, Pittura, ed Archi­tettura.
Nelle storie mostrasi anche osseruantissimo, ponendone sotto gli occhi le antiche Cataratte usate da’ Tolomei nell’egitto, per compartire l’acque e le ricchezze del Nilo, e le belle inuentioni, fra Plinio, e Traiano diuisate nelle loro epist. per far la nauigatione, mediante laghi e fiumi dal mare, a Nicomedia, se forsi non volsero dire da Milano e Nuouocomo, come più è probabile, per esser patria di quel curiosissimo ingegno.
Essendosi puoi opra cosi notabile intermessa, per le guerre dei francesi e prigionia del Duca Lodouico Moro, vaco Leonardo per qualche anni, con molto danno delle bell’arti, e per no star otioso hebbe tempo, per lo piu trattenendosi nelle solitudini della belliss., ed amenissima villa di Vaprio, di filosofar, disegnar, scriuer a comune utilita, e per promouer la sua scuola, ed accademia gia principiata sotto Lodouico Sforza per ornar d’ogni belle uirtu il Nipote Gio. Galeazzo ed altri Nobili Milanesi, eruditi nell’Academia detta, fecondo seminario di perfettissimi artefici nella pitta, Scultura, Architettura, nel intagliar christalli, gioie, marmi, ferri, e nell’arti fusorie d’oro, argento, bronzo et.
Specialmente nella Pittura profitorno tanto molti d’essi, che l’opere loro vennero credute, stimate, e vendute, per fatture di Leonardo lor maestro. Fra questi furno eminenti Francesco Melzi, Cesare da Sesto nobili Milanesi, Bernardino Louino, Bramante, e Bramantino, Marco da Oggiono, il Borgognone, Andrea il Gobbo ottimo pittore, e scultore, Gio. Pedrino, il Bernazzano, il Ciuetta, un altro di detto nome, eminentissimo ne’ paesi, Gaudentio da Nouara, il Lanino, Calisto da Lodi detto Tocagno, il Figgino uecchio, edaultri quali passando a Bergamo Mantoa, Cremona Bresia, Verona, Venetia, Parma, Correggio, Bologna ui seminorno i Lotti, Mantegni, Moretti, Montagnani, Carauaggi Giorgiono, Paoli Veronesi, Soiardi, Proccaccini, Franci, Amici, Correggi Parmeggianini, Dossi, ed altri Lombardi, pittori emin.ti Tralascio le scuole di Venetia, Firenze, Roma, tutte illustrate dall’esempio e perfettione di Leonardo primo promotore, e ristauratore di queste bell’arti.
De più studiosi d’imitarlo fu Gio. Paolo Lomazzo detto il Brutto. Questi accolse molte sue pitture, disegni e scritture: ne arrichì le Gallerie e Museo di Rodolfo secondo Imper. Risorse ed alzò la pittura tanto, che, si, ben giovane, non diventava cieco, haurebbe lasciato adietro ogni altro. Non potendo piu uedere si diede a scriuere, quanto haueua pratticato ed imparato dall’opere e scritti di Leonardo da esso freq.te addotto per ideale. Annibale Fontana scultore de Camei, christalli, gioie, e marmi emin.te professaua d’hauer da le cose di Leonardo appreso quanto sapeua. Ma niuno l’imitò più del Louino, Cesare da Sesto, e più d’ogni altro Francesco Meltio hospite suo per molti anni nelle cui mani, e case, quando Leonardo fu portato in Francia dal Re Francesco primo, per la più ricca preda fatta nella conquista di Milano, restorno i libri e disegni di tal maestro. Morendo q.lo S.re quale se fosse stato pouero, haurebbe lauorato piu opere, hoggi per essere finitissime credute del Maestro, lasciò così pretioso thesoro nella Villa di Vauero agli Heredi suoi molto diuersi di studij, e d’impieghi, e percio molto le neglessero, e presto lo dispersero: unde facile fu al detto Lelio Gauardi maestro d’humanità in quella casa, cauarne quanto uole, ed il portar 13 di quei libri a Firenze, per donarli al Gran Duca Francesco, sperandone gran prezzo per il gusto di quel prencipe voglioso di simil’opere, e per il credito grande di Leonardo in Firenze sua patria, oue puoco soggiorno, e manco ui lauorò. Gionto il Gauardi a Firenze il Gran Duca vi cade malato, e morse. Venne percio egli a Pisa, con il Mannucci, oue, facendoli io scrupolo del mal acquisto, si componse, e mi prego, che, douendo io finiti li studij miei legali passar a Milano, pigliassi assonto di far hauere a Sig.ri Melzi, quanto egli toltoli hauea. Satisfeci all’officio richiestomi, bona fide, consignando il tutto al S.r Horatio Melzi dottor collegiato, e capo della casa. Si marauigliò egli ch’io hauessi preso questo fastidio, e mi fece dono de libri, dicendomi d’hauer molt’altri disegni del medesimo Auttore, già molt’anni nelle case di Villa sotto de tetti negletti. Restorno þciò li detti libri nelle mie mani e puoi de’ miei frattelli, quali facendone troppo ponposa mostra, e ridicendo a chi li uedeuano il modo, e la facilità dell’acquisto molti andorno dal medesimo Dottore Melzi, e ne buscorno disegni, modelli, plastice, anatomie, con altre pretiose reliquie del studio di Leonardo. Fra questi pescatori ui fu Pompeo Arettino figlio del Cavaliere Leone già scuolar del Buonaruoti, e famigliare del Rè di Spagna Filippo. ii. per hauerui fatti tutti li bronzi dell’Escoriale. Pro­mise Pompeo al Dottor Melzi officij, maggistrati, e cattedre nel senato di Milano, se, ricuperando li xiii. libri gliel’hauesse datti per donarli al Re Filippo molto curioso di simili singolarita. Mosso da tali speranze il Melzi uolò a mio frattello, e ginocchiato lo prego à ridonarli li donatoli come collega del collegio di Milano, degno di compassione, cortesia, e grata beneuolenza, sette de libri detti li furno ridonati sei ne restorno in casa Mazenti, de’ quali uno fu donato al s.r Card. Federico di gl. m. hoggi conseruato nella sua Biblioteca Ambrosia, in foglio, coperto di ueluto rosso, e tratta dell’umbre e de lumi molto filosoficam.te utilm.te per li pittori, e per i prospettiui ed optici. Vn altro ne dono ad Ambrosio Figgini pittor nobile di que tempi, quale con il restante del suo studio lo lasciò all’Erede suo Ercole Bianchi. Richiesto io dal Duca Carlo Emanuele di Savoia procurai dal medesmo mio frattello che ne conpiacesse quell’Alt. d’uno terzo. Il restante, morendo mio frattello fuori di Milano, peruenne no so come nelle mani del sopranominato Pompeo Arettino. E questo accogliendone altri li sfoglio, e ne fece un gran libro, lasciato puoi all herede suo Cleodoro Calchi, e uenduto al S.r Galeazzo Arconato per 300 scudi; quale, come Caualier generosiss.mo, lo conserua nelle sue gallerie, ricche di mill’altre pretiose cose, e piu uolte richiestone dall’Alt. di Sauoia e da piu prencipi sodisfacendo alla cortesia, ne ha ricusato più di seicento scudi.
Ho letto in questi libri dottissimi discorsi, e regole per ritrouar la linea centrale nelle statue, e pitture, con disegni ed esempij posti sotto gli occhi del senso e dell’intelletto legiadrem.te
Insegna il modo di far le stanze de’ pittori, con il lume proportionato a quello del Sole, allegando, che le finestre quadre, con gli angoli lo rendono falso, e discordante dalla natura.
Vi disputa, e decide la famosa quistione del primato, fra la pittura e la scoltura, facendone dar sentenza da un chieco, e da un idiota in fauor della pittura, ponendo auanti al cieco bellissima tauola pinta con huomini e paesi, e toccandola ritrouatala solia e liscia, per merauiglia non uolse mai credere, che ui fossero animali, selue, monti, valli, e laghi, sin che il Duca Lodovico il Moro non glielo giurò. All’incontro uenendoli posto auanti una Statua, palpandola subbito conobbe, che ui si figurava un huomo. Chiamato l’Idiota ponendoseli penelli auanti, e masse di creta, non seppe pinger cosa di garbo, e nella creta con proprij piedi braccia, e uolto, formo perfettissime cosi al naturale, sufficienti per hauerne ottimi rileui.
Delle Machine disegnate, se ne uedono nei libri detti gran quantità, già poste ben in uso nel Milanese, come sono tanti sostegni, conche detti castelli d’Aque, e cataratte, per lo piu da Leonardo inuentate come quella della uia detta Arena, con la quale l’Adda, ed il Tesino diuersi molto nell’altezza, e bassezza ridotti ad Libellā si comunican la nauigatione. Dall’uso di q.ta Machina caua la fabrica del Duomo di Milano mille scudi annui, e li fu donata dal Duca Lodouico Moro, per suffragio dell’anima di Beatrice da Este sua moglie, come dice l’inscrittione: ma credo io, accio ad utilita pubblica, si conseruasse quel ordigno, mediante le Maestranze di quella fabrica, cosa che non haurebbe forse fatto la Camera Regia per mancam.to di intelligenza, e diligenza.
E creduta di Leonardo una simil macchina detta de Francesi, come disegnata sotto il lor gouerno, con la quale si alzano le Naui grosse, e s’abbassano da quarantacinque br. cioe piu di 90 piè geometrici. Nell’Adda e stata questa mole fabricata con grandiss. dispendio molt’anni doppo Leonardo, hora abbandonata dalla città satia delle spese, o esausta dalle guerre: ma credo io, per non hauer l’Architetto Giuseppe Meda inteso il segreto del Maestro d’imboccar solo l’acqua capace di regola e necessarie nel Canale e Cataratta.
Nelle botteghe dell’Arti molte Machine s’usano ritrouate da Leonardo per tagliar, lustrare christalli, ferri, pietre; ed è ridicula l’usata molto nelle cantine di Milano per sminuzar molta carne, per far il ceruellato senza pericolo di mosche ne di puzzo, mediante una ruota girata da un fanciullo. Molte seghe di marmi, legni sono sopra fiumi. E mediante il corso d’essi da modo di escauarne l’arena con ruote e barche.
Rare sono le pitture di questo gran Maestro in Milano forse perche sono state da Francesi per lo più portate a fontanableo, con il medesimo auttore, quale anche pinse puoco per il suo pertinace studio di uoler arriuar alla pfettione della Natura, non intesa da pittori, quali presto finiscono, com’egli diceua, le lor opere, per non conoscere la perfettione del Naturale. Era etiandio distratto in piu diletti. Maneggio cauali, armeggio, molto gusto hebbe nella musica; toccaua bene una gran lira d’argento, con uentiquattro corde molto sonora, e forsi fù l’auttore dell’Arcicimbalo conseruato gia nell’Academia del S. Prospero Visconti, oue gia ui furno molti disegni suoi, e molti discepoli del medesimo vi fiorirno.
E famosa la Cena dell’Apostoli pinta nel gran Cenacolo de’ frati Domenicani a S. M. delle gratie di Milano. Tentò il Re Fr.co primo di portarla in Francia, ma in vano, essendo sopra di grossa parete alta e larga da 30 piedi. E guasto questo pretioso ideale, per esser stato pinto a olio sopra humido muro. Se ne gode pero una gran copia fatta da Gio. Paolo Lomazzo nel Cenacolo de Padri di S. Girolamo al Castellazzo. In S. Barnaba di Milano se ne uede una minore e più fina cauata da Gio. Pedrino uiuente il maestro, ma solo le teste son finite. A S. Francesco ui è una tauola nella Capella della Concettione, ed altre tauolette nel medesimo altare. Il Vespino pittor Milanese ne fece coppia molto fedele, se il peso delle tavole, non lo rendesse difficile potrebbesi facil.te hauere in Roma. In S. Francesco medesimo nella gran Capella de Reini, e nell’organo, dall’opere di discepoli s’argomenta il valore del maestro. Si che non e meraviglia se in altre tauole di Milano par a molti di uederui la perfettione di Leonardo, e pure sono de’ suoi scuolari. Nella sagristia della Madonna di S. Celso una tauola creduta di Leonardo, amazza, ed abbatte una uicina di Raffaele, che fu delle più fine, e dall’heredità di Pio quarto portata in Milano da S. Carlo fu pagata sin a que tempi trecento scudi d’oro. In S. Roccho di Porta Romana vedesi una tauola quale, per essere divisa, con colonne all’antica, formarebbe molti nobilissimi quadri, diuersi di concetti, uien creduta di Leonardo, ma e di Cesare da Sesto. Il medesimo auuiene di molti quadri piccoli serbati nelle case private. Le più certe sono le datte da miei fratelli al S.r Card. Borromeo hoggi pure fra disegni e pitture della libraria Ambrosiana riposte. Molte a miei giorni ne forno compre dal Gran Duca Ferdinando si mostrano a Firenze, ma io le credo di mano di Bernardino Louino. Altre n’hebbe Rodolfo ii Imperatore, e furno delle migliori, e più certe, per essere state conseruate da Gio. Paolo Lomazzo, intelligentissimo pittore, studiosissimo di Leonardo primo padre della pittura, e che da filosofo, ne tratto theoricamente, praticandola emin.te





[1] Vedi Documento vii, Elenco ii, n. 7.
[2] Govi G., Alcune memorie di Giovanni Ambrogio Mazzenta intorno a Leonardo da Vinci e a’ suoi manoscritti [in] Il Buonarroti, serie ii, vol. viii, p. 344.
[3] Du Fresne R., Trattato della Pittura di Lionardo da Vinci novamente dato in luce con la vita dell’istesso autore ecc., Parigi, G. Langlois, 1651, in folio.
[4] Venturi J. B., Essai sur les ouvrages Phisico-Mathématiques de Léonard de Vinci etc., Paris, Duprat, An. v (1797), in 4o.
[5] Piot E., Léonard de Vinci (Ses Manuscrits) [in] Le Cabinet de L’Amateur, Année 1861, Paris, Firmin-Didot frères, 1861, in 4o. - Vedi p. 60-63.
[6] Piot E., Léonard de Vinci [in] Le Cabinet de L’Amateur, 60 e 65.
[7] Govi G., Alcune memorie ecc. [in] Il Buonarroti, vol. viii, 1888 [sic], p. 345-350.
[8] Piot E., Léonard de Vinci [in] Le Cabinet de L’Amateur.
[9] Dozio G., Degli scritti e disegni di Leonardo da Vinci e specialmente dei posseduti un tempo e dei posseduti adesso dalla Biblioteca Ambrosiana, Milano, G. Agnelli, 1871, in 8.o
[10] Jordan M., Das Malerbuch des Lionardo da VinciLeipzig, E. A. Seemann, 1873, in 8.o
[11] Ravaisson Mollien, Les manuscrits de Léonard de Vinci. - Le manuscrit A. de la Bibliotéque de l’Institut, Paris, A. Quantin, 1881, in folio.
[12] Uzielli G., Ricerche intorno a Leonardo da Vinci, Firenze, Pellas, 1872, in 8°. – Vedi p. 202.
[13] Comolli A., Bibliografia storico-critica dell’Architettura civile, ed arti subalterne, Roma, 1788-92, vol. 4 in 4.o - Vedi vol. iii, p. 192.
[14] Dozio G., Degli Scritti ecc. p. 21-24.
[15] Ravaisson Mollien, Les Manuscrits etc., (Mss A) p. 3-12.
[16] Ravaisson Mollien, Les Manuscrits etc., (Mss A) p. 15.
[17] Ravaisson Mollien, Les Manuscrits etc., (Mss A) pp. 11-12. - Documento vii, n. 7.
[18] Secondo il Calvi, Famiglie Notabili Milanesi, vol. ii, Milano, 1881, si distinguono i Melzi di Vaprio dai Melzi de Malingegni. I primi poi diramandosi diedero origine ai Melzi di Vaprio propriamente detti e a quei di Magenta, donde trassero principio i Melzi d’Eril. Poco importa sapere se il Magenta intenda differenziare i Melzi di Vaprio dai Malingegni o dai Conti di Magenta. A noi basta sapere che la illustre famiglia dei Melzi conti Palatini riconosceva per suo capo Giovanni, da cui era stata fatta edificare - dicesi su disegno di Bramante o di Leonardo - la Villa di Vaprio.
Di questi Gerolamo (1), padre di Giovanni Francesco, è quegli a cui Battista de Villanis, il servo di Leonardo, rilasciò in data del 29 Agosto 1519 una procura per prendere possesso della parte di vigna lasciatagli in eredità dal defunto padrone (v. Uzielli, Ricerche intorno a Leon. da Vinci, i serie, Firenze, 1872, pag. 210); Giovanni Francesco (2) è il discepolo e l’erede di Leonardo; Orazio (3) è quegli al quale restarono affidati gli scritti del Vinci dopo la morte di Francesco Melzi; Marcella, Francesco e Lodovico (4) poterono essere i discepoli del Gavardi.

Nessun commento:

Posta un commento