Nella storia delle arti del Disegno sono alcuni uomini i quali raccolgono in sè, e rappresentano per così dire, l’indirizzo, il procedere, e il perfezionamento di in un secolo, o in una età. Tali furono Giotto, Masaccio, il Brunellesco, Lionardo, Raffaello e il Buonarroto. Intorno a’ quali tanto da tre secoli è stato parlato e scritto, che oggi ben poco alla critica, e meno alla erudizione resta da aggiungere. Onde chi volesse andar rispigolando in quel medesimo campo dove già altri mieterono abbondantemente, non potrebbe sperare di raccogliere che rade e magre spighe e pagliuzze. Così è avvenuto a me rispetto a Lionardo da Vinci; del quale sebbene cercassi minutamente, non mi è riuscito di trovare che queste poche scritture e memorie che sieno non solo inedite, ma ancora sconosciute e che ora si pubblicano.
La prima di queste scritture è una breve Biografia di Lionardo, tratta dal manoscritto magliabechiano, che è il codice xvij della classe xvij; nel quale un anonimo de’ primi cinquant’anni del 1500 ha raccolto notizie piuttosto brevi, ma spesso notabili e nuove, degli artefici toscani da Cimabue a Michelangelo, Leggendo questo codice io mi sono accorto che il compilatore, quanto a’ maestri del secolo xiv, copia per lo più dal Commentario del Ghiberti, nello stesso modo che ha fatto il Vasari; o che rispetto agli artefici del secolo posteriore, tiene innanzi un libro che egli chiama ora l’antico, ora l’originale, e più spesso col nome del suo possessore, che fu un Antonio Billi vissuto negli ultimi anni del 1400.
Considerate tutte queste cose, io vado pensando, se sarebbe tanto fuori del verosimile il credere che nel detto libro di Antonio Billi si contenessero i ricordi scritti,
come testimonia il Vasari, da Domenico del Ghirlandaio, intorno agli artefici
vissuti innanzi a lui, e che oggi non si trovano; imperciocchè io vi leggo
tratte da quel libro certe notizie particolari della vita o delle opere di
alcuni maestri, che nel Vasari non sono, e taciute altre che il biografo
racconta.
La
seconda memoria parla della pittura d’una tavola per la cappella dedicata a S.
Bernardo nel palazzo della Signoria, data a fare a Lionardo nel primo giorno di
gennaio del 1477 (s. c. 1478); la quale era stata innanzi allogata a Pietro del
Pollaiuolo, e poi otto giorni dopo toltagli, senza saperne la cagione; se non
forse per esser Lionardo tanto sopra al Pollaiuolo, eccellente, o perchè così volle
il Magnifico Lorenzo.
Ma questa
tavola, sebbene da un pagamento di venticinque fiorini fattogli nel mese di
marzo del detto anno, si possa credere cominciata da Lionardo, non fu però da
lui condotta a fine. E forse è quella stessa, che come dice l’anonimo autore
della detta Breve Vita, fu dipinta per il palazzo de’ Signori da Filippino
Lippi, secondo il cartone di Lionardo: nella quale è rappresentata Nostra Donna
seduta in alto trono, con ai lati S. Vittorio vescovo, S. Gio. Battista, S.
Bernardo, e S. Zanobi.
Nella
terza memoria è la ricordanza della Pala, o tavola che i monaci di S. Donato a
Scopeto diedero a dipingere per il prezzo di 300 fiorini d’oro a Lionardo nel
marzo del 1480 (s. c. 1481) per l’altare maggiore della loro chiesa; la quale
se egli cominciò, al pari dell’altra non compì.
Ed io stimo
di non ingannarmi dicendo, che questa questa tavola così abbozzata come la
lasciò Lionardo, sia quella stessa coll’Adorazione de’ Magi che al tempo del Vasari
era nella casa di Amerigo Benci, ed oggi è uno de’ più preziosi cimelii della
Galleria degli Uffizi. E mi conferma in questa credenza, il vedere che il
medesimo soggetto • dell’Adorazione de’ Magi è rappresentato nella tavola che
sedici anni dopo dipinse Filippino a que’ monaci, conservata presentemente
nella detta Galleria.
L’ultima
memoria riguarda l’andata di Lionardo al campo fiorentino contro Pisa, dove
giunse a’ 23 di luglio del 1503, come apparisce da una lettera di Francesco Guidncci
ai Dieci di Balìa pubblicata dal Gange nel vol. ii,
pag, 62 del Carteggio d’Artisti ec.
Dalla qual memoria meglio si conosce con quale intendimento Lionardo fosse
mandato colà» in compagnia di Giovanni piffero, ossia Giovanni Cellini padre di
Benvenuto, cioè per livellare Arno per
levallo del letto suo.
Questo è
tutto ciò che d’inedito ho raccolto intorno a Lionardo da Vinci negli archivi e
nelle biblioteche. Conosco che è poco, e forse non mancherà chi lo dica anche
di non molta importanza. Pure a me pare in qualche modo notabile, e che
aggiunga alla sua vita alcun particolare fino ad ora ignorato. Che se degli uomini
grandi nessuna cosa benchè minima si reputa indegna della storia, tanto più si
dovrà credere di Lionardo, il quale non solo fu grandissimo nell’arte, ma
ancora nella scienza, considerati i tempi, miracoloso.
G. Milanesi.
Breve vita di Lionardo da Vinci
scritta
da anonimo del 1500.
Lionardo
da Vinci cittadino fiorentino, quantunche [non] fussi legittimo figliuolo di
Ser Piero da Vinci, era per madre nato di buon sangue. Fu tanto raro et
universale, che dalla natura per suo miracolo essere produtto dire si puote; la
quale non solo delle bellezze del corpo, che molto bene gli concedette, volse
dotarlo, ma di molte rare virtù volse anchora farlo maestro. Assai valse in
matematica et in prospettiva non meno, et operò di scultura, et in disegno
passò di gran lunga tutti li altri. Hebbe bellissime inventioni, ma non colorì
molte cose, perchè si dice mai a sè medesimo avere satisfatto, et però sono
tanto rare le opere sue. Fu nel parlare eloquentissimo et raro sonatore di lira,
et fu maestro di quella d’Atalante Migliorotti[1]. Attese e dilettossi de’ semplici,
et fu valentissimo in tirari[2], et in edifizij d’acqua et
altri ghiribizi, nè mai co l’animo suo si quietava, ma sempre con l’ingegno
fabricava cose nuove. Stette da giovane col Magnifico Lorenzo de’ Medici, et
dandoli provisione, per sè il fece va lavorare nel giardino sulla Piazza di San
Marco di Firenze. Aveva 30 anni che da detto Magnifico Lorenzo fu mandato al Duca
di Milano insieme con Atalante Migliorotti a presentarli una lira, che unico
era in sonare tale extrumento.
Tornò
dipoi in Firenze, dove stette più tempo, et dipoi o per indignatione che si
fossi o per altra causa, in mentre che lavorava nella Sala del Consiglio de’ Signori
si partì et tornossene in Milano, dove al servitio del Duca stette più anni; et
dipoi stette col Duca Valentino, et ancora poi in Francia in più luoghi. Et
tornossene in Milano: et in mentre che lavorava il cavallo per gettarlo di
bronzo, per revolutione dello Stato tornò a Firenze, e per 6 mesi si tornò in
casa Giovan Francesco Rustichi scultore nella via de’ Martelli. Et tornossene a
Milano, et dipoi in Francia al servizio del re Francesco, dove portò assai de’
sua disegni, de’ quali ancora ne lasciò in Firenze nello Spedale di S. Maria
Nuova, con altre masserizie et la maggior parte del cartone della Sala del
Consiglio, del quale è il disegno del gruppo de’ cavalli che oggi in opera si
vede, rimase in Palazo: et morse presso a Ambosia, città di Francia, d’età
d’anni 72 a un suo luogo chiamato Cloux, dove haveva fatto le sue habitationi;
et lasciò per testamento a messer Francesco da Melzio gentile homo milanese
tutti i danari contanti, panni, libri, scritture, disegni et instrumenti et
ritratti circa la pittura et arte et industria sua che quivi si trovava, et
fecelo executore del suo testamento. Et lasciò a Batista de Villani suo
servitore la metà d’uno suo giardino che haveva fuori di Milano et l’altra metà
a Salai suo discepolo. Et lasciò 400 ducati a’ sua fratelli, che haveva in
deposito in Firenze nello spedale di Santa Maria Muova, dove doppo la sua morte
da loro non fu trovato più di 300 ducati.
Hebbe più
discepoli, tra’ quali fu Salai milanese, Zoroastro da Peretola[3], il Riccio fiorentino
dalla Porta alla †[4], Ferrando spagnuolo,
mentre lavorava la Sala in Palazo de’ Signori.
Ritrasse
in Firenze dal naturale la Ginevra d’Amerigho Benci, la quale tanto bene finì,
che non il ritratto, ma la propria Ginevra pareva.
Fece una
tavola di una nostra Donna, cosa excellentissima.
Dipinse
ancora uno San Giovanni.
Et
anchora dipinse Adamo ed Eva d’acquerello, hoggi in casa messer Ottaviano de’
Medici.
Ritrasse
dal naturale Piero Francesco del Giocondo[5].
Dipinse
a... una testa di Megera con mirabili et rari aggruppamenti di serpi, hoggi in
guardaroba dello Illmo et Exmo Signor Duca Cosimo de’ Medici. Fece,
per dipingere nella Sala grande del Consiglio del Palazo di Firenze, il cartone
della guerra de’ Fiorentini quando ruppono a Anghiari Niccholò Piccinino
capitano del Duca Filippo di Milano; il quale cominciò a mettere in opera in detto
luogho, come ancuora hoggi si vede, et in vernice.
Cominciò
a dipignere una tavola nel detto Palazo, la quale dipoi in sul suo disegno fu finita
per Filippo di Fra Filippo.
Dipinse
una tavola d’altare al Signor Lodovico di Milano; per intendenti che l’han
vista s’è detto essere delle più belle et rare cose che in pittura si vegghino.
La quale dal detto Signore fu mandata nella Magna a’ l’Imperatore.
Dipinse
anchora in Milano uno Cenaculo; cosa excellentissima.
Et in
Milano similmente fece uno cavallo d’ismisurata grandezza, suvvi il duca
Francesco Sforza: cosa bellissima: per gittarlo di bronzo: ma universalmente fu
giudicato essere impossibile, e maximo perchè si diceva volerlo gittare di uno
pezzo. La quale opera non hebbe perfectione.
Fece
infiniti disegni, cose maravigliose, et infra li altri una Nostra Donna et una
Santa Anna che andò in Francia, et più notomie, le quali ritraeva in nello
Spedale di S. Maria Nuova di Firenze.
Lionardo
da Vinci fu nel tempo di Michele Agnolo; et di Plinio cavò quello stuccho con
il quale coloriva, ma non l’intese bene; et la prima volta lo provò in uno
quadro nella Sala del Papa che in tal luogho lavorava, e davanti a esso, che l’haveva
appoggiato al muro, accese un gran fuoco di carboni, dove per il gran calore di
detti carboni rasciughò et secchò detta materia; et dipoi la volse mettere in
opera nella Sala, dove giù basso il fuoco agiunse et seccholla; ma lassù alto,
per la distantia grande, non vi aggiunse il calore, et colò.
Era di
bella persona, proportionata, gratiata et bello aspetto. Portava un pitocco
rosato corto sino al ginocchio, che allora s’usavano i vestiri lunghi: haveva
sino al mezzo il petto una bella capellaia et inanellata et ben composta.
Et
passando ditto Lionardo insieme col G. da Gavina da Santa Trinità dalla
pancaccia delli Spini, dove era una ragunata d’huomini da bene, et dove si
disputava un passo di Dante, chiamaro detto Lionardo, dicendogli che
dichiarassi loro quel passo: et a caso a punto passò di quivi Michele Agnolo et
chiamato da un di loro, rispose Lionardo, Michele Agnolo ve lo dichiarerà egli.
Di che parendo a Michele Agnolo l’havessi detto per sbeffarlo, con ira gli
rispose: dichiaralo pur tu, che facesti un disegnio d’uno cavallo per gittarlo
di bronzo e non lo potesti gittare, et per vergogna lo lasciasti stare. Et
detto questo, voltò loro le rene e andò via. Dove rimase Lionardo, che per le
dette parole diventò rosso. E anchora Michele Agnolo volendo mordere Lionardo,
gli disse: et che t’era creduto da que’ caponi de’ Milanesi.
Documenti
1477 (s. c. 1478)
die 1 mensis Ianuarri. Non obstante quacumque alia locatione usque in hodiernam
diem quomodocumque et qualitercumque et cuicumque facta, locaverunt Leonardo ser Pieri de Vincio, pictori, ad
pingendum et de novo fabricandum tabulam altaris capelle Sancti Bernardi dicte
Dominationis, site in Palatio populi florentini, cum ornamento, qualitate, modo
et forma et pro pretio et aliis, prout et sicut declarabitur per operarios
dicti palatii.
(Archivio Centrale di Stato in Firenze.
Deliberazioni de’ Signori e Collegi del 1477 (1478) a 4).
1477 (s. c. 1478) 16 marzo. Deliberaverunt
quod camerarius Camere Armorum det et solvat Leonardo ser Pieri de Vincio, pictori, pro parte tabule altaris dicte
Dominationis de novo fabricande et pingende per dictum Leonardum, fior. xxv largos.
(Arch. e
Delib. dette, a 26).
ii.
Ricordo
d’una Tavola data a dipingere a Lionardo per la
chiesa di S. Donato a Scopeto.
1481 luglio. Lionardo
di ser Piero da Vinci si à tolto a dipignere una nostra Pala per l’altare
magiore per infine di marzo 1480, la quale debba havere compiuta infra mesi 24 vel
al più infra mesi 30; et in caso non l’avessi compiuta, perdessi quello
n’avessi fatto, et fussi in nostra libertà di farne la volontà nostra: per la
quale de’ havere un terzo de una possessione in Valdelsa che fu di Simone padre
di frate Francesco, la quale lasciò con questo incarico. Con questo, che habimo
termine, poi l’arà compiuta, tre anni, se noi la volessimo tòrre in noi per
fiorini 300 di sugello: et in questo predecto tempo non ne possa fare alcuno
contracto. Et lui debba mettere di suo i colori, l’oro et ogni altra spesa
n’occorressi. Et più debba pagare di suo tutto quello si spenderà per fare la dota
di fior. 150 di sugello in sul Monte a la figliuola di Salvestro di Giovanni -
fior. 300.
Ànne havuto fior. ventotto larghi
a fare noi la sopradecta dota, perchè lui disse non havere il modo di farla, et
il tempo passava, et a noi ne veniva preiudicio fior. 28
larghi.
Et più
de’ dare per colori tolti per lui dalli Iniesuati, che montò fior. uno et mezzo
larghi; L. quattro, sol. 2, den. 4.
(Archivio centrale di Stato - Corporazioni religiose soppresse.
Convento di S. Donato a Scopeto fra le Carte di S. Iacopo Soprarno.
Giornale e
ricordi dal 1479 al 1482 a 74).
1481 luglio. M.o
Lionardo dipintore per una soma di frasconi e una di legne grosse li mandamo in
Firenze, per dipintura fece de l’uriuolo. L. 1, sol. 6. d’agosto.
Lionardo
da Vinci dipintore de’ dare a dì 25 detto (giugno) L. 4, sol. 10, sono per una
oncia d’azzurro, di lire 4 l’oncia, e per una oncia di giallolino comperàno
agli Ingiesuati.
(Arch.
detto e libro detto, a c. 75 e 79).
iii.
Andata di Leonardo al Campo sotto Pisa.
Spese
extraorinarie diene havere a dì xxvj di luglio L. lvj sol. xiij
per loro a giovanni piffero; e sono per tanti assegnia avere spexi in vetture
di 6 chavalli e spese di vitto per anaare chon Lionardo da vinci a livellare arno in quello di Pisa per levallo
del letto suo.
(Archivio detto. Libro d’Entrata e Uscita
di cassa de’ Magnifici Signori,
di luglio e agosto 1503, a 51 t.).
[1] Questo Atalante che fu
figliuolo naturale di Manetto Migliorotti, nacque in Firenze nel 1466, e riuscì
eccellentissimo nel sonare la lira sotto la disciplina di Lionardo; dal quale,
essendo ancor giovanetto di circa sedici anni, fu condotto a Milano, allorchè
andò alla corte di Lodovico il Moro. Quando nel 1490 il Marchese Francesco Gonzaga
di Mantova fece recitare nel palazzo di Marmirolo l’Orfeo del Poliziano, come
si congettura, Atalante fu chiesto dal Marchese a Piero de’ Medici perchè
facesse la parte d’Orfeo, e fatto condurre per un cavallaro a posta da Firenze
a Mantova. Dopo questo passano parecchi anni, senza che si sappia altro di lui.
Nel 1507 lo troviamo in Roma che voleva muover lite al Comune di Castelnuovo di
Val di Cecina per cagione di certi confini, e nel 1513 era soprastante alle
fabbriche di papa Leone; nel quale ufficio durava ancora tre anni dopo.
L’ultima memoria che se ne abbia è del 1535, nel qual anno essendo andato a
Perugia, stimò a’ 9 di giugno in compagnia di Giulio dei Merigi da Caravaggio
muratore (che senza dubbio è della medesima famiglia del celebre Michelangelo
pittore, e forse il padre suo), parte del lavoro del palazzo del cardinale
Armellino, architettato e costruito da Giovanni Mangone, fiorentino.
[2] Cioè, ingegni da muovere e
alzare pesi.
[3] Intorno a Zoroastro da
Peretola, ecco quel che si legge nel Tomo ii,
pag, 242 degli Opuscoli dell’Ammirato. «Zoroastro hebbe nome Tomaso Masini da
Peretola, presso di Firenze un miglio. Fu figliuolo d’un ortolano, ma diceva
esser figliuolo di Bernardo Rucellai, cognato del Magnifico Lorenzo. Si mise
con Lionardo Vinci, il qual gli fece una veste di gallozzole; onde fu per un
gran tempo nominato il Gallozzolo. Andò Lionardo a Milano et seco andò Zoroastro,
et ivi fu chiamato l’Indovino, facendo professione d’arte magica. Venne poi a
Roma, ove si accomodò con Giovanni Rucellai castellan di Sant’Agnolo, et poi
col Viseo ambasciador di Portogallo, il qual fu poi creato cardinale, et
finalmente con Ridolfi, ove fu cognominato Zoroastro. Approvava l’opinione di Demetrio
di cangiarsi i nomi per i vani storpiamenti che pativa in contado dalla gente
rozza nel suo nome, chiamandolo chi Chialabastro e chi Alabastro: di che forte
s’adirava. Finalmente si morì, et fu posto in Santa Agata fra il Trissino et il
signor Giovanni Lascari. Nella sua sepoltura sta un Angelo con un par di
tanaglie et con un martello, et batte un ossame d’un busto d’huomo morto,
dinotando la fede che egli haveva nella resurrezione. Non harebbe ucciso una
pulce per gran cosa: si volea vestir di lino per non portare addosso cosa
morticcia». Quando Lionardo dipingeva il cartone nella sala grande del
Consiglio, Tommaso di Giovanni Masini (che è il nostro Zoroastro) era suo
garzone, e macinatore di colori. Egli deve essere stato ancora orefice e
conciatore di gioie, perchè si ha ricordo che nel 1516 lavorò pel Duca Lorenzo
de’ Medici una manica di lapislazzuli per una daga, e un’altra di agata per un
pugnaletto.
Il Lasca nelle Novelle quarta
e sesta della seconda Cena racconta le burle fatte a due fiorentini, persone
semplici e di grosso ingegno, da lui, dal Pilucca (Paolo Geri scultore ed
architetto), dallo Scheggia (Raffaello orefice) e dal Monaco, che erano sempre
compagni a quelle imprese.
Di Zoroastro parla ancora il
Cav. Passerini nella Genealogia e Storia de’ Rucellai.
[4] Chi sia questo Riccio della Porta alla Croce,
non si sa. Io andavo pensando se forse potesse essere un Lorenzo del Faina, che
macinava i colori a Lionardo quando dipingeva nella Sala suddetta. Il quale io
non ho dubbio che sia quel medesimo Lorenzo nominato da Lionardo insieme col
Salai, col Melzi e col Fanfuia in un ricordo del 1514 e da altri creduto il
Lotto, pittore bergamasco.
[5] Questo ritratto non è
ricordato da nessuno de’ suoi biografi.
[6] Intorno alla tavola della
Cappella del Palazzo pubblico non sarà inutile di fare un po’ di storia.
Sull’altare dell’antica cappella del palazzo della Signoria di Firenze stette
per lungo tempo una tavola dipinta nel 1335 da Bernardo Daddi, che fu scolare
di Giotto; nella quale era figurato San Bernardo, a cui mentre scrive, apparisce
in alto Maria Vergine. Alla vecchia tavola se ne volle sostituire una nuova e
più moderna nel 1477, come si rileva dalla seguente deliberazione de’ Signori e
Collegi: - 1477, 24 decembris. - Item dicti Domini, - locavereunt Piero olim Jacobi del Pollaiuolo, pictori, civi florentino, ad pingendam, et
de novo faciendam et fabricandam et pingendam quamdam tabulam altaris cappelle
pallatii dicte dominationis Sancti Bernardi; et modo et forma et prout et sicut
apparet in modello et seu in pictura existente apud et penes Fratres pallatii
predicti, cum ornamentis et auro, et prout et sicut decet talem habere
Rempublicam Florentinam. Quam
picturam teneatur facere et pingere dictus Pierus quam celerius poterit, et omnibus et singulis sumptibus et expensis dicti Pieri facere necessariis et opportunis; et pro
eius pretio et mercede et prout et sicut declarabitur per Dominos pro tempore
existentes, videlicet per illos qui officio predicto prefuerint, quando dicta
tabula erit perfecta et posita super dictum altare et non aliter.
Come è stato detto, questa tavola
otto giorni dopo, qual se ne fosse stata la cagione, fu levata al Pollaiuolo e
data a fare a Lionardo, il quale neppure la cominciò. Passati tre anni fu nuovamente
allogata a Domenico del Ghirlandaio con questa deliberazione de’ Signori e
Collegi. - 1483 20, maii - Item dicti Domini - locaverunt tabulam
altaris cappelle corum palatii Dominico Thomasii Curradi vocato el Grillandaio, quam facere debeat ea qualitate, et eo modo
et forma prout et sicut libere videbitur et placebit magnifico viro Laurentio
Pieri Cosme de Medicis.
Ma anche il Ghirlandaio, forse
occupato in altri lavori, non ne fece niente: onde fu ultimamente commessa a
Filippino Lippi, il quale diedela compita intorno al 1485, e fu posta, non più
nella cappella di San Bernardo, ma nella Sala del Consiglio, detta de’ Gigli.
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