CENACOLO VINCIANO
Avanti di assumermi la
gravosa responsabilità di eseguire il consolidamento del «Cenacolo» ho
esperito due tentativi di rinsaldo della crosta di colore, il primo nell’anno
1903 su una superficie dipinta di circa 30 cent. quadrati, e il secondo nell’anno
1906 su una porzione più vasta. Già durante quelle prove ho potuto constatare
lo stato di estremo deperimento della pittura. Nel paziente lavoro testè
compiuto, il quale si è svolto su ogni parte della parete dipinta, ho trovato ovunque,
benchè in vario grado, mancanza di coesione tra il colore e la superficie
murale.
Anche
là dove la crosta di colore non era staccata a squame, accartocciata, o
comunque sollevata, le brevi superfici piane avevano pur esse perduto la
continuità di aderenza coll’intonaco e tendevano a staccarsi sotto ogni pur
lieve pressione.
In
alcune parti, benchè su piccolissime superfici, il colore era caduto anche là
dove le fotografie fatte eseguire nel 1906 dall’Ufficio Regionale per la
conservazione dei monumenti indicano la continuità del dipinto. La conservazione
della pittura era pertanto quasi esclusivamente dovuta all’umidità dell’ambiente
e alle colle sovrapposte con grande abbondanza nei preceduti restauri, le
quali, per altro, idratandosi, producevano, specialmente nella stagione
invernale, le muffe che, unitamente alla polvere copiosamente cosparsa sulle superfici
sollevate, toglievano quasi totalmente la visione dell’opera meravigliosa.
Era
mio compito di procedere alla saldatura del colore con mastici diluiti con
sostanze idonee e tali che le condizioni igrometriche avessero su essi la minor
possibile influenza.
Il
vario grado di discontinuità della crosta di colore coll’arricciatura del muro richiese
nondimeno per ogni caso diversa soluzione e sovratutto una cura pazientemente
scrupolosa nella manualità delle operazioni, a cui attesi veramente colla costante,
paurosa preoccupazione dell’incolumità del capolavoro e con la vigile coscienza
dell’imprescindibile necessità di serbare ogni minima traccia di una tale
suprema affermazione di bellezza.
Mi
corre qui l’obbligo di rettificare un giudizio che io ebbi in antecedenza ad
esporre, e cioè che il «Cenacolo» sia stato dipinto da Leonardo con colori a
base di olio, in conformità a quanto asserì il Lomazzo, e dopo di lui altri
uomini dell’arte. A tale giudizio io fui tratto dal caratteristico accartocciarsi
della pasta di colore e dalla lucentezza conferita dalle colle sovrabbondanti.
In effetto, tutte le parti dipinte, alle prove ch’io feci, addimostrarono di
non contenere sostanze oleose e ho ancora constatato nella parte superiore del
dipinto, e meglio nelle deliziose lunette sovrastanti alla composizione, dove
il mezzo di adesione originariamente impiegato non ebbe campo di essicare
completamente, una meno disastrosa conservazione della pittura, Leonardo ha
pertanto dipinto il Cenacolo a tempera forte, sia pure tentando metodi e
imprimiture che fallirono al loro scopo, a giudicare dalle deplorevoli
condizioni di conservazione della pittura dopo scarso numero di anni dalla sua
esecuzione.
Tale
constatazione, oltrechè accordarsi logicamente all’intuitivo convincimento che
Leonardo non abbia ignorato l’incapacità di stabile aderenza delle tinte ad
olio applicate alle superfici murali, ha pure concesso maggiore rapidità alla
esecuzione del lavoro e una più efficace attività ai mastici impiegati nel
rinsaldo.
Allorchè
ebbi ultimata l’operazione di consolidamento di tutta la superficie dipinta e
ottenuto ovunque la perfetta aderenza coll’arricciatura del muro e ridotta
perciò la crosta del colore a una superficie piana, ho proceduto a togliere la
polvere e a lavare le muffe, e per quanto è stato possibile e conveniente, le
colle sovrapposte al colore. Dove questo era caduto, il bianco crudo della
calce alterava la tonalità circostante e perciò, sentito anche il parere del
Senatore Beltrami, dell’arch. Moretti e dei pittori Pogliaghi e Carcano, membri
della Commissione governativa, ho ricoperte quelle superfici con tinte leggiere
a tempera, appena sufficienti per impedire che l’assieme ne fosse deturpato.
Così
pure, consenzienti i Commissari e il Direttore dell’ufficio regionale, si è
presentata la necessità di qualche restauro alla volta a spicchi lunettata
sovrapposta al Cenacolo, dove pure la colorazione era in larghe parti
completamente scomparsa. Il restauro ha rilevato come il fondo azzurro degli spicchi
fosse cosparso di stelle d’oro e ha precisato che le mirabili lunette decorate
con ghirlande e targhe d’imprese sforzesche, per la inesprimibile finezza del
dettaglio, la larghezza decorativa e la profondissima penetrazione della forma,
sono a evidenza, opera di Leonardo.
Il
lavoro che fu da me iniziato il giorno 25 del mese di giugno e proseguito
ininterrottamente, venne con queste operazioni ultimato al principio del
settembre del corrente anno.
* * *
Tutto
quanto passa sotto il nome di Cenacolo Vinciano, l’opera originale di Leonardo,
come le molteplici superfetazioni dei restauratori, è riuscito così risanato e
ridotto nelle più acconce condizioni per goderne la visione e vagliarne il
valore.
Il
minuzioso esame che ho compiuto mi ha precisato la entità dei numerosi ristauri
che si rivelano eseguiti in varie epoche, con varia abilità artistica e con diversi
metodi tecnici. La più parte a tempera, presentavano soluzioni di continuità coll’intonaco
anche più gravi della pittura originaria, altre, come quello eseguito in
piccola porzione della tovaglia e precisamente nella parte centrale (a
encausto), oltre a una notevole abilità di esecuzione conserva aderenza colla
superficie. Ciò non ostante mi è di grande soddisfazione asserire che dopo la
pulitura del dipinto, ciò che appare opera originaria di Leonardo è assai più
di quanto credette il Bianconi e generalmente si ritiene.
I
restauratori hanno esercitato la loro opera largamente sugli abbigliamenti, ad
eccezione delle figure di alcuni apostoli e sul fondo d’architettura; ma non
sulla tovaglia, i dettagli sovrapposti e il soffitto travi, e furono costretti
al rispetto dove l’arte del Maestro ha una più profonda e spirituale potenza
evocatrice. Così le teste e le mani delle figure benchè guaste e stinte, sono
pressochè immuni di restauro (salvo la testa dell’Apostolo Giacomo Maggiore)
come pure quel luminoso spiraglio di paesaggio che contrasta tuttora col suo
azzurro sereno alla composta drammaticità della scena.
Io
ho fede che l’opera, la quale con religiosa venerazione ho dedicato alla grande
opera d’arte, sarà definitiva ad assicurarne la conservazione. La parete
muraria è quasi totalmente sana, solo il suo estremo, a sinistra di chi guarda,
accusa tracce di umidità, le quali però non è a ritenersi che possano assumere
carattere di gravità e aumentare di superficie.
Ciò
che assolutamente necessita è di assicurare al Cenacolo la uniformità delle
condizioni atmosferiche e di salvaguardarlo dalla considerevole quantità di
polvere, quale si produce evidentemente in un luogo con tanta frequenza
visitato. Si deve pertanto murare, o porre le doppie bussole, alla porta del
Refettorio comunicante col chiostro da cui procedono le correnti d’aria che
possono avere azione diretta sulla pittura e mutare saltuariamente le
condizioni atmosferiche dell’ambiente.
E
per la stessa ragione devono essere fisse le chiusure delle finestre vicine
alla parete dipinta. Or sono molti anni il Cenacolo era difeso da una tenda che
di poi fu tolta, ignaro per quale ragione. Era una difesa la quale vorrei
ripristinata, se non ritenessi più sicuro schermo una lastra di cristallo, che
difendesse col decoro di una conveniente intelaiatura il prezioso dipinto.
Nessun mezzo sarebbe più acconcio pel riparo della polvere e per la uniformità
atmosferica dell’ambiente.
In
una teca di cristallo, come una reliquia, dovrebbe, a mio giudizio, conservarsi
il Cenacolo Vinciano.
Milano,
5 settembre 1908.
LUIGI CAVENAGHI.
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