sabato 30 agosto 2014

1908 - CAVENAGHI, Sul Cenacolo vinciano



CENACOLO VINCIANO

Avanti di assumermi la gravosa responsabilità di eseguire il consolidamento del «Cenacolo» ho esperito due tentativi di rinsaldo della crosta di colore, il primo nell’anno 1903 su una superficie dipinta di circa 30 cent. quadrati, e il secondo nell’anno 1906 su una porzione più vasta. Già durante quelle prove ho potuto constatare lo stato di estremo deperimento della pittura. Nel paziente lavoro testè compiuto, il quale si è svolto su ogni parte della parete dipinta, ho trovato ovunque, benchè in vario grado, mancanza di coesione tra il colore e la superficie murale.
Anche là dove la crosta di colore non era staccata a squame, accartocciata, o comunque sollevata, le brevi superfici piane avevano pur esse perduto la continuità di aderenza coll’intonaco e tendevano a staccarsi sotto ogni pur lieve pressione.
In alcune parti, benchè su piccolissime superfici, il colore era caduto anche là dove le fotografie fatte eseguire nel 1906 dall’Ufficio Regionale per la conservazione dei monumenti indicano la continuità del dipinto. La conservazione della pittura era pertanto quasi esclusivamente dovuta all’umidità dell’ambiente e alle colle sovrapposte con grande abbondanza nei preceduti restauri, le quali, per altro, idratandosi, producevano, specialmente nella stagione invernale, le muffe che, unitamente alla polvere copiosamente cosparsa sulle superfici sollevate, toglievano quasi totalmente la visione dell’opera meravigliosa.
Era mio compito di procedere alla saldatura del colore con mastici diluiti con sostanze idonee e tali che le condizioni igrometriche avessero su essi la minor possibile influenza.
Il vario grado di discontinuità della crosta di colore coll’arricciatura del muro richiese nondimeno per ogni caso diversa soluzione e sovratutto una cura pazientemente scrupolosa nella manualità delle operazioni, a cui attesi veramente colla costante, paurosa preoccupazione dell’incolumità del capolavoro e con la vigile coscienza dell’imprescindibile necessità di serbare ogni minima traccia di una tale suprema affermazione di bellezza.
Mi corre qui l’obbligo di rettificare un giudizio che io ebbi in antecedenza ad esporre, e cioè che il «Cenacolo» sia stato dipinto da Leonardo con colori a base di olio, in conformità a quanto asserì il Lomazzo, e dopo di lui altri uomini dell’arte. A tale giudizio io fui tratto dal caratteristico accartocciarsi della pasta di colore e dalla lucentezza conferita dalle colle sovrabbondanti. In effetto, tutte le parti dipinte, alle prove ch’io feci, addimostrarono di non contenere sostanze oleose e ho ancora constatato nella parte superiore del dipinto, e meglio nelle deliziose lunette sovrastanti alla composizione, dove il mezzo di adesione originariamente impiegato non ebbe campo di essicare completamente, una meno disastrosa conservazione della pittura, Leonardo ha pertanto dipinto il Cenacolo a tempera forte, sia pure tentando metodi e imprimiture che fallirono al loro scopo, a giudicare dalle deplorevoli condizioni di conservazione della pittura dopo scarso numero di anni dalla sua esecuzione.
Tale constatazione, oltrechè accordarsi logicamente all’intuitivo convincimento che Leonardo non abbia ignorato l’incapacità di stabile aderenza delle tinte ad olio applicate alle superfici murali, ha pure concesso maggiore rapidità alla esecuzione del lavoro e una più efficace attività ai mastici impiegati nel rinsaldo.
Allorchè ebbi ultimata l’operazione di consolidamento di tutta la superficie dipinta e ottenuto ovunque la perfetta aderenza coll’arricciatura del muro e ridotta perciò la crosta del colore a una superficie piana, ho proceduto a togliere la polvere e a lavare le muffe, e per quanto è stato possibile e conveniente, le colle sovrapposte al colore. Dove questo era caduto, il bianco crudo della calce alterava la tonalità circostante e perciò, sentito anche il parere del Senatore Beltrami, dell’arch. Moretti e dei pittori Pogliaghi e Carcano, membri della Commissione governativa, ho ricoperte quelle superfici con tinte leggiere a tempera, appena sufficienti per impedire che l’assieme ne fosse deturpato.
Così pure, consenzienti i Commissari e il Direttore dell’ufficio regionale, si è presentata la necessità di qualche restauro alla volta a spicchi lunettata sovrapposta al Cenacolo, dove pure la colorazione era in larghe parti completamente scomparsa. Il restauro ha rilevato come il fondo azzurro degli spicchi fosse cosparso di stelle d’oro e ha precisato che le mirabili lunette decorate con ghirlande e targhe d’imprese sforzesche, per la inesprimibile finezza del dettaglio, la larghezza decorativa e la profondissima penetrazione della forma, sono a evidenza, opera di Leonardo.
Il lavoro che fu da me iniziato il giorno 25 del mese di giugno e proseguito ininterrottamente, venne con queste operazioni ultimato al principio del settembre del corrente anno.

* * *

Tutto quanto passa sotto il nome di Cenacolo Vinciano, l’opera originale di Leonardo, come le molteplici superfetazioni dei restauratori, è riuscito così risanato e ridotto nelle più acconce condizioni per goderne la visione e vagliarne il valore.
Il minuzioso esame che ho compiuto mi ha precisato la entità dei numerosi ristauri che si rivelano eseguiti in varie epoche, con varia abilità artistica e con diversi metodi tecnici. La più parte a tempera, presentavano soluzioni di continuità coll’intonaco anche più gravi della pittura originaria, altre, come quello eseguito in piccola porzione della tovaglia e precisamente nella parte centrale (a encausto), oltre a una notevole abilità di esecuzione conserva aderenza colla superficie. Ciò non ostante mi è di grande soddisfazione asserire che dopo la pulitura del dipinto, ciò che appare opera originaria di Leonardo è assai più di quanto credette il Bianconi e generalmente si ritiene.
I restauratori hanno esercitato la loro opera largamente sugli abbigliamenti, ad eccezione delle figure di alcuni apostoli e sul fondo d’architettura; ma non sulla tovaglia, i dettagli sovrapposti e il soffitto travi, e furono costretti al rispetto dove l’arte del Maestro ha una più profonda e spirituale potenza evocatrice. Così le teste e le mani delle figure benchè guaste e stinte, sono pressochè immuni di restauro (salvo la testa dell’Apostolo Giacomo Maggiore) come pure quel luminoso spiraglio di paesaggio che contrasta tuttora col suo azzurro sereno alla composta drammaticità della scena.
Io ho fede che l’opera, la quale con religiosa venerazione ho dedicato alla grande opera d’arte, sarà definitiva ad assicurarne la conservazione. La parete muraria è quasi totalmente sana, solo il suo estremo, a sinistra di chi guarda, accusa tracce di umidità, le quali però non è a ritenersi che possano assumere carattere di gravità e aumentare di superficie.
Ciò che assolutamente necessita è di assicurare al Cenacolo la uniformità delle condizioni atmosferiche e di salvaguardarlo dalla considerevole quantità di polvere, quale si produce evidentemente in un luogo con tanta frequenza visitato. Si deve pertanto murare, o porre le doppie bussole, alla porta del Refettorio comunicante col chiostro da cui procedono le correnti d’aria che possono avere azione diretta sulla pittura e mutare saltuariamente le condizioni atmosferiche dell’ambiente.
E per la stessa ragione devono essere fisse le chiusure delle finestre vicine alla parete dipinta. Or sono molti anni il Cenacolo era difeso da una tenda che di poi fu tolta, ignaro per quale ragione. Era una difesa la quale vorrei ripristinata, se non ritenessi più sicuro schermo una lastra di cristallo, che difendesse col decoro di una conveniente intelaiatura il prezioso dipinto. Nessun mezzo sarebbe più acconcio pel riparo della polvere e per la uniformità atmosferica dell’ambiente.
In una teca di cristallo, come una reliquia, dovrebbe, a mio giudizio, conservarsi il Cenacolo Vinciano.

Milano, 5 settembre 1908.
LUIGI CAVENAGHI.

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